La missione più importante del Pnrr è la quarta, “Istruzione e ricerca”, che ha come obiettivo quello di rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza e di competitività partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca.

A questa missione sono assegnati 30,88 miliardi di euro, forse pochi per compensare il gap che divide l’Italia dalla media dei paesi dell’Unione europea in questi campi.

Le statistiche Istat del 2019 mostrano che gli italiani sono fra gli ultimi in Europa per livello di istruzione. Solo il 62,2 per cento delle persone tra i 25 e i 64 anni ha un diploma; nell’Ue il 78,7 per cento.

Un titolo di studio terziario è posseduto dal 19,6 per cento, contro il 33,2 per cento della media europea. Eurostat ha rilevato nel 2015 che meno di un italiano su due ha letto in un anno almeno un libro per motivi non strettamente scolastici e professionali, al sud la percentuale dei lettori scende al 28,8 per cento.

Sempre Eurostat (dati 2015), mostra che solo il 37 per cento della popolazione italiana partecipa ad attività culturali, contro il 66 per cento della Danimarca, il 58 della Francia, il 50 della Germania e una media europea del 45.

Nel Pnrr si parla diffusamente di crescita, ma la crescita è proprio basata sulla scuola, la ricerca, la cultura, perché queste portano a un maggior valore aggiunto della nostra industria, quindi a una maggiore competitività delle nostre imprese nel mercato globale, all’impiego in Italia di quei 150mila giovani laureati in materie scientifiche che ogni anno se ne vanno all’estero, a servizi sociali più efficienti, soprattutto sanità e giustizia.

L’attuale classe politica riflette le statistiche del basso livello di cultura e scolarità di cui abbiamo appena parlato? Nello scenario mondiale globalizzato, al politico è richiesta oggi una profonda preparazione per capire le dinamiche economiche e geopolitiche e quindi difendere gli interessi nazionali nell’Unione europea e negli organismi mondiali come l’Onu, la Wto, la Nato.

Proprio nell’attuale situazione di crisi vorremmo sentire proposte basate sul sapere e sullo studio dei dossier. Al contrario, le parole dei leader di maggioranza e opposizione hanno come principale obiettivo la ricerca del consenso attraverso una insopportabile campagna elettorale permanente.

Se la classe politica non è in grado di risolvere i problemi del paese, perché inadeguata dal punto di vista della formazione scolastica e culturale, come ne usciremo? Dobbiamo rassegnarci ad essere, in molti campi, sempre all’ultimo posto tra i maggiori paesi dell’Ue? No, perché per fortuna l’Italia ha un numero elevatissimo di persone colte e preparate che sarebbero in grado di risolvere i problemi citati. Purtroppo, però, raramente le troviamo a occupare seggi in parlamento o far parte della compagine di governo.

Una buona legge elettorale potrebbe essere determinante per invertire la rotta. Con buona pace dei costituzionalisti che richiamano il principio di proporzionalità della Costituzione, si dovrebbe pensare a una legge elettorale nazionale a doppio turno come quella dei sindaci che assicura stabilità per cinque anni e con collegi uninominali affidati a persone di valore. E magari anche a ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti per porre così fine alle fondazioni fasulle come la Open di Matteo Renzi.

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