Avete notato tutti i cantieri che hanno aperto per iniziare a spendere i 191,5 miliardi di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza? No? Tranquilli, non siete voi che siete distratti: di cantieri non ce n’è neanche uno e non ci saranno per parecchio tempo. Per una ragione semplice: i soldi che cominciano ad arrivare dall’Ue vanno in un fondo che li usa per progetti già approvati, che avremmo comunque avviato anche senza pandemia e Pnrr.

Come anticipato ieri dal Corriere della Sera, i primi soldi sono andati a pagare investimenti di Rfi – la controllata delle Ferrovie che si occupa di infrastrutture – già realizzati nel 2020, crediti di imposta alle imprese per la transizione al digitale, l’alta velocità in Liguria e tra Brescia e Venezia. Tutte cose già decise.

Quindi, alla fine della partita di giro, i soldi del Pnrr per ora vengono usati soltanto per evitare l’emissione di nuovo debito pubblico che avremmo usato in alternativa come fonte di finanziamento.

Il paradosso è che il debito oggi costa poco – in un anno il rendimento si è ridotto dell’11 per cento, grazie alle banche centrali – e quindi il risparmio è minimo.

Mentre il beneficio di spendere subito soldi in progetti con un impatto sull’economia sarebbe massimo, per impostare l’uscita della pandemia su una traiettoria di maggiore crescita strutturale.

I difetti di progettazione

Non è tutta colpa dell’Italia, il difetto è nella progettazione del piano Next Generation Eu: non si capisce che bisogno c’è di usare una complessa leva fiscale (trasferimenti a fondo perduto e prestiti) per fare il lavoro della Bce, cioè ridurre il costo del debito.

La responsabilità del governo – prima Conte e poi Draghi – è di aver contribuito all’illusione che siano i soldi europei a generare la crescita mentre dovrebbero essere usati per coprire i costi della transizione verso un nuovo assetto: tutte le riforme, tipo quella fiscale o pensionistica, hanno vincitori e vinti e richiedono costosi cuscinetti nel passaggio da un assetto a un altro. Invece di usare i fondi europei o nazionali per evolverci, insomma, paghiamo spese arretrate.

Un po’ come se uno studente chiedesse ai genitori 50.000 euro per frequentare un master negli Stati Uniti e fare un salto di carriera e poi li usasse per estinguere parte del mutuo sulla casa e le rate del finanziamento per la moto.

Il Pnrr è stato costruito fin dall’inizio su una scala diversa da quella coerente con le capacità di spesa dei singoli paesi, in particolare l’Italia, che ha sentito comunque il bisogno di aggiungere in parallelo alle risorse europee anche una trentina di miliardi (il cosiddetto “fondone”) per progetti cari ai partiti ma fuori dai parametri del piano Nex Generation Eu.

Avremo tempo per misurare le conseguenze a medio termine di questa immissione di risorse che, peraltro, al momento sembra pro-ciclica, cioè va ad alimentare una ripresa in corso che non sembra aver bisogno di aiuto.

Per il momento stiamo verificando cosa succede quando la classe dirigente italiana perde il suo grande alibi pluridecennale (“non ci sono i soldi”). Succede poco, molto poco.

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