Nel programma della coalizione di centrodestra, oltre a mirabolanti promesse in campo economico e fiscale, riemerge la proposta del presidenzialismo, che si inserisce in un pensiero, purtroppo presente anche tra alcuni “tecnici” vicini al centrosinistra, che ricerca drastiche “semplificazioni” del funzionamento delle democrazie contemporanee.

A ben vedere i sistemi elettorali maggioritari (quelli che dovrebbero farci sapere “chi vince, la sera delle elezioni”) e il presidenzialismo sono figli della stessa idea. Da noi i sistemi maggioritari non hanno affatto garantito la stabilità dei governi, ma hanno creato solo coalizioni innaturali e litigiose.

Gli stessi esempi di “mini presidenzialismo”, l’elezione diretta del sindaco o del presidente di Regione hanno prodotto non sempre la stabilità, ma sicuramente un’accentuata personalizzazione della politica, con il progressivo offuscamento, soprattutto a livello locale, del ruolo dei partiti, oggi ben lontani da quello che loro affida la nostra Costituzione.

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Dopo le esperienze tragiche del nazismo e del fascismo le rinate democrazie in Germania ed Italia (anche sotto la tutela degli Stati Uniti) si sono date forme di repubblica parlamentare. Della Germania, che è stata motore dell’economia sociale di mercato e dell’Unione europea, ancora fedele ad una repubblica parlamentare e a un sistema elettorale proporzionale corretto, non si può certo parlare come di una democrazia non funzionante.

Si dovrebbe poi precisare quale presidenzialismo si propone. C’è da sperare non l’elezione diretta del capo del governo, destinata a travolgere ogni possibile contrappeso istituzionale, dal presidente della Repubblica allo stesso parlamento. Israele, dopo una brevissima sperimentazione, l’ha poi abbandonata.

Il presidenzialismo Usa è oggi in una grave crisi: il sistema dei contrappesi non funziona più (pensiamo all’instabilità derivante dall’elezione ogni due anni del parlamento, al boicottaggio degli stati contro le politiche del presidente, su temi come la vaccinazione e l’aborto, alla fine del ruolo di garanzia della Corte suprema); sono finite le condizioni politiche che lo hanno reso accettabile: i due partiti sono in preda ad una contrapposizione feroce che produce reciproca delegittimazione, fino alla contestazione dell’elezione di Joe Biden e all’assalto a Capitol Hill. E il presidente, non più eletto grazie al voto determinante dei moderati, non svolge alcun ruolo di mediazione.

Anche il semipresidenzialismo francese non gode di buona salute. Ha prodotto tensioni fortissime nelle istituzioni (tre coabitazioni, nove anni, tra presidente eletto e premier espressione di una diversa maggioranza parlamentare), poi è stato modificato per forzare gli elettori a confermare in parlamento la maggioranza presidenziale; oggi Emmanuel Macron fa i conti con un parlamento senza maggioranza.

Il sistema ha impoverito la rappresentanza dei partiti politici, tanto nella sinistra socialdemocratica, quanto nella destra conservatrice, di derivazione gollista ed esasperato la protesta sociale.

L’elezione diretta fa, ovunque, del presidente un’istituzione di parte, non più capace di svolgere il ruolo di garante della Costituzione e dell’unità nazionale.

Consideriamo, poi, il contesto politico attuale e gli autori della proposta di presidenzialismo. Anche a non volerla tacciare di “fascismo” (o di neofascismo alla Almirante, presidenzialista in aperta contrapposizione con la Costituzione), perché resta il rispetto della libertà di voto degli elettori, è evidente il suo tratto autoritario e illiberale.

Siamo sicuri di voler affidare i diritti, sociali e civili, dei cittadini a nostrani Putin, Erdogan, Bolsonaro, Orban, Kaczyński, Le Pen, eletti presidente a furor di popolo, magari grazie a condizioni di grave crisi economica e sociale (pensiamo al terrore dei tedeschi per inflazioni non controllate), oppure grazie al discredito in cui è (stato) precipitato il sistema dei partiti? Quali sarebbero i contrappesi?

In assenza di altre figure istituzionali (quali l’odierno presidente della Repubblica) o di un parlamento non allineato, resterebbero solo la magistratura e la Corte costituzionale, che sarebbero sottoposte però a pressioni fortissime, in nome della “volontà popolare” (vedi Ungheria e Polonia).

Il presidenzialismo, adottato in un quadro di forti contrapposizioni sociali, tutte figlie delle disuguaglianze che la globalizzazione neoliberista ha prodotto, non aiuta la decisione democratica, ma è benzina sul fuoco del populismo illiberale.

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