Il principio di legalità tra la “casa nel bosco” e il libero consenso

La vicenda della “casa nel bosco” e le polemiche sul varo della nuova norma penale che definisce come responsabile di violenza sessuale «chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima» hanno ulteriormente infiammato il già acceso dibattito sulla giustizia in vista dell’imminente referendum sulla separazione delle carriere. Vediamo di ragionarci pacatamente. I due distinti episodi hanno un tratto in comune: l’incidenza della giurisdizione in delicatissimi profili della vita intima dei cittadini. Attengono a temi profondi come la tutela della libertà personale, il diritto di scelta della donna e la responsabilità genitoriale che implica anch’essa decisioni discrezionali dei genitori che lo stato tutela col solo limite dell’«interesse preminente del minore». L’avvocata Quinto (Be Free): «La norma sul consenso è chiarissima, per questo la destra la blocca» Principio di legalità Vi è tuttavia un ulteriore profilo che da avvocato ritengo opportuno segnalare: il rispetto del principio di legalità, che vuol dire la tutela della libertà di tutti e si realizza negli articoli 25 e 27 della Costituzione. In breve ogni cittadino deve avere chiara consapevolezza su quali sue condotte siano contrarie alla legge e lo deve sapere con chiarezza prima di porle in essere in base a norme tassative scritte con sufficiente precisione, non in base a generici e soggettivi precetti etici. È il patto sociale basilare che lega gli individui allo stato democratico ed è questo aspetto a essere incisivamente toccato dalle due vicende, così diverse tra loro. Nel caso dei due genitori, seguaci delle teorie di uno dei grandi filosofi dell’Ottocento, l’americano David Thoreau, non un fanatico talebano ma il riconosciuto precursore dell’ambientalismo, la lettura attenta del provvedimento del tribunale abruzzese motiva un grave provvedimento di revoca della potestà genitoriale (provvisorio?) non perché «fondato sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione, ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione (art. 2 Cost.), produttiva di gravi conseguenze psichiche ed educative a carico del minore (e) La deprivazione del confronto tra pari in età da scuola elementare». Ciò in base alla scelta dei genitori della «educazione domestica» dei tre bambini. Il punto, però, è che il ministero dell’istruzione ha informato che la pratica era stata debitamente autorizzata e i genitori avevano adempiuto alle necessarie verifiche. Dunque come si può sanzionare così gravemente una scelta, discutibile sì, ma conforme alla legge? Ddl consenso, ora la destra frena. Carfagna: «Un déjà vu, ma sono ottimista» “Libero consenso” Venendo al profilo del “libero consenso” della donna nella sua vita sessuale, va detto che la nuova norma in questione su cui la Lega, per bocca della sua giurista di punta Giulia Bongiorno, da sempre impegnata in difesa delle donne, ha fatto marcia indietro, altro non è che la traduzione in legge di una diffusa giurisprudenza della Cassazione. In base ad essa, come recita una recente sentenza, «ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso». In sostanza – precisa la Corte – «nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria». Dunque dimostri l’uomo che la donna era d’accordo, in barba alla presunzione di non colpevolezza. Si comprende chiaramente cosa è in ballo e perché tanti non infondati dubbi: il punto è che diversi giudici di merito non seguono alla lettera tale indirizzo. Ad esempio il tribunale di Milano ha di recente archiviato le accuse contro il figlio del presidente del Senato, Ignazio La Russa, perché pur essendo «il comportamento dei due indagati certamente connotato da una profonda superficialità e volgarità [...] l’autore della violenza sessuale deve quindi avere consapevolezza e volontà di compiere atti sessuali con una persona non consenziente, ovvero che non ha manifestato in via esplicita o implicita il proprio consenso». Dunque il criterio prospettato dalla Cassazione è stato disatteso, in nome del più stretto garantismo. Con la nuova norma invece l’imputato, con ogni probabilità, sarebbe stato condannato. Da qui le obiezioni di diversi giuristi che richiedono almeno che il dissenso, seppure non espresso, sia “riconoscibile”. Proprio il “lodo La Russa” potrebbe essere il punto di equilibrio: subordinare la punibilità alla possibilità di percepire il dissenso. Bisogna vedere se questo sarà sufficiente a incontrare il favore della sinistra femminista più intransigente. Corpi, sessualità e consenso: vietare di parlarne a scuola significa togliere diritti a chi cresce