Donald Trump se ne sta andando, ma i semi del trumpismo rimangono. Ora che Trump è stato sconfitto, è importante capire cosa è andato storto nella democrazia degli Stati Uniti e perché i suoi anticorpi hanno funzionato nell’ultima elezione. Nel frattempo, Trump continua a negare le procedure elettorali e promuove un ridicolo e, molto probabilmente fallimentare, tentativo di colpo di stato. Nel compiacere i desideri del suo leader, il trumpismo ha creato un mito fondativo nuovo, alla base di future mobilitazione.

In vista di un suo futuro ritorno da trionfatore, Trump presenta sé stesso non come lo sconfitto che è, ma come la vittima di un tradimento della patria (cosa che chiaramente non è).

Ci sono assonanze rilevanti con il mito della “causa persa” creato dagli schiavisti e razzisti americani dopo la sconfitta nella Guerra civile, simile al mito della “coltellata alla schiena” usato dai generali tedeschi sconfitti alla fine della Prima guerra mondiale nel 1918.

Come in altri esempi di fascismo e populismo, la propaganda trumpista riscrive la storia attraverso una finzione consapevole e deliberata, anche se nel frattempo la storia vera, quella basata sui fatti, continua il suo corso.

Il trumpismo ha perso una battaglia ma punta a vincere una guerra di più lungo periodo. I suoi tentativi di attacco alla democrazia mostrano che sta costruendo il mito di una temporanea sconfitta nella campagna presidenziale ma, a prescindere dall’esito di questo voto, il momento dei neo trumpisti arriverà comunque in un futuro molto prossimo: candidati anti-democratici che seguiranno il mito di Trump.

Hannah Arendt aveva analizzato lo scenario di questa guerra di lungo periodo già nel giugno del 1945, credeva che il fascismo non fosse finito con la sua sconfitta militare e che i semi di un fascismo internazionale fossero stati piantati in molti paesi, soprattutto in Sud America. Arendt aveva intuito la continuità tra il fascismo classico e la sua riformulazione democratica che è il populismo. Ma il nuovo “ismo” era molto diverso dal passato. Era un post fascismo che aveva lasciato cadere alcuni degli elementi costitutivi del fascismo, come la xenofobia, la repressione, le tecniche di propaganda totalitaria e la dittatura.

Da Juan Perón in Argentina a Silvio Berlusconi in Italia, questi elementi non erano più al centro della politica. Ma il nuovo populismo è diverso, quello capitanato dai trumpisti seguiti da Jair Bolsonaro in Brasile, Viktor Orbàn in Ungheria, Matteo Salvini in Italia: molti di quegli elementi tipicamente fascisti sono tornati importanti. In estrema sintesi, il populismo è tornato agli elementi fondanti del fascismo, con l’evidente eccezione della dittatura.

Il trumpismo, come l’insieme di questi nuovi populismi, può essere definito come il momento nella fase post fascista in cui la libertà di pensiero è stata rimpiazzata dalla libertà di consumo, combinata con razzismo, xenofobia e bugie di stampo fascista, con leader che si sentono liberi di mettere a rischio la propria salute oltre a quella degli altri e di pretendere cieca obbedienza. I costi di questa concezione del potere sono stati spesso letali e dopo quattro anni di trumpismo la democrazia è stata seriamente svilita, anche se non distrutta.

Le istituzioni democratiche sono più solide che in passato, eppure non possiamo dare per scontato che possano evitare un ritorno al potere di Turmo o dei vari neotrumpisti in attesa, come Ivanka Trump, Mike Pence o i senatori Marco Rubio, Tom Cotton, o Ted Cruz. Con o senza Trump, la democrazia continuerà a essere attaccata dal suo interno.

Leader come Trump sono stati possibili anche perché la partecipazione democratica si è ridotta. Nonostante i suoi fallimenti, il trumpismo rimarrà una caratteristica rilevante della politica americana.

Leader come Trump sono il prodotto di un calo nella partecipazione democratica. Contro il populismo di destra abbiamo bisogno invece che le nostre democrazie siano più giuste e più rappresentative, meno diseguali.

Alla luce della storia recente, possiamo prevedere che il trumpismo rappresenterà un’opposizione implacabile e ostile, senza possibilità di dialogo. Dobbiamo aspettarci altre bugie e altre teorie della cospirazione, incluso il mito per mobilizzare la base della “sconfitta ingiusta”.

Forse dobbiamo aspettarci anche una militarizzazione della politica e più violenza, con il leader al centro del culto che deve essere sempre protetto dal fallimento elettorale e dalle future azioni giudiziarie nei suoi confronti.

E’ troppo presto per dire se l’amministrazione Biden agirà in sede legale contro Trump, indagando sulla sua evidente negligenza nel proteggere gli americani dalla pandemia, sui sospetti casi di corruzione e sugli appelli alla violenza e alla repressione. Ma se venisse fatta giustizia, la democrazia ne uscirebbe sicuramente rafforzata. Lo scenario opposto è più preoccupante, basti ricordare il caso del perdono presidenziale di Gerald Ford a Richard Nixon per i suoi crimini che, comunque, sembrano bagatelle confrontati con quelli per i quali Trump potrebbe finire sotto inchiesta.

Una cosa è sicura: i casi di ricostruzione democratica del passato ci dicono che la difesa della legalità e la legittimità della politica procedono di pari passo.

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