Tutti sembrano convenire che il problema principale del nostro paese sia la bassa produttività, che ha bloccato la crescita dei salari e impedito al paese di crescere. Sì, ma come fare per far crescere la produttività?

Anche qui sembra esserci un consenso generale: più istruzione per i nostri giovani e più investimenti per le nostre imprese. Molto bene, ma come far crescere rapidamente investimenti e istruzione? E poi, quanti anni ci vorranno perché investimenti e istruzione generino maggiore produttività? In realtà queste affermazioni sono valide per un dibattito televisivo, ma servono a poco e ci allontano dalla soluzione del problema che è quello di avviare un rapido cambiamento per sostenere occupazione e retribuzioni che restano ancora molto bassi.

Ovvio che nessuno può essere contro una maggiore istruzione e maggiori investimenti, ma se si vogliono ottenere risultati in tempi ragionevoli, occorre invertire l’assunto: la bassa produttività deriva dalla bassa crescita dell’economia e non l’inverso. La crescita della nostra economia è stata bloccata prima dalla crisi dell’euro, che ci ha costretti a ridurre la domanda interna attraverso politiche fiscali restrittive, poi dal Covid ed ora dalla guerra.

La bassa crescita, come insegna la teoria economica, comporta una bassa produttività perché molte imprese non riescono a utilizzare a pieno la loro capacità produttiva e, soprattutto, molti lavoratori sono costretti a cercare e ad accettare lavori marginali pur di poter guadagnare quel minimo che serve loro per sopravvivere.

In effetti, la bassa produttività dell’economia italiana non è una bassa produttività di tutti i lavoratori e di tutte le imprese. Al contrario, ci sono diverse imprese che hanno una alta produttività (lo testimoniano analisi della Banca d’Italia) e i cui lavoratori hanno remunerazioni che sono cresciute in linea con la produttività, come negli altri paesi. Ma contemporaneamente, a causa della scarsa crescita economica, vi sono un gran numero di piccole imprese che non riescono a crescere e che offrono lavori marginali e precari di bassa produttività e di basse remunerazioni. Ne risulta così la fotografia di un paese che in media ha una bassa produttività e salari stagnanti.

Niente aumenti generalizzati

In queste condizioni, auspicare o promuovere un generale aumento dei salari non sarebbe né possibile né auspicabile. Significherebbe premiare ancora coloro che già hanno una buona remunerazione, mentre distruggeremmo il lavoro di quanti sono ai margini del mercato.

La soluzione del problema sta nella maggiore crescita della domanda e, quindi, del reddito del nostro paese. Cosa non impossibile e già avviata con il dopo Covid, quando l’economia italiana ha messo in evidenza un recupero particolarmente forte, che è continuato anche nei primi mesi di quest’anno, tanto che il Pil del primo trimestre è risultato positivo e le nostre esportazioni continuano a crescere.

Il Pnrr varato grazie alla nuova politica economica dell’Ue può dare ancora un contributo importante alla crescita, se la Bce eviterà, come dovrebbe, che il rialzo necessario dei tassi di interesse si trasformi anche in un allargamento degli spread.

L’Italia ha bisogno di una forte crescita del Pil sostenuto anche dalla domanda interna per poter avere quell’aumento di produttività che consenta anche un aumento dei salari.

È solo la crescita che può favorire la produttività. Basti pensare a cosa sarebbe successo se nel decennio che ha preceduto il Covid (2010-2019), l’Italia, con la sua contrazione del reddito reale (-2,5 per cento), avesse avuto la stessa crescita di produttività della Germania (+4,4 per cento): avremmo avuto un calo dell’occupazione così drammatico (oltre un milione e mezzo di persone) che non saremmo riusciti a sopravvivere.

È bene non confondere la causa con l’effetto: è la crescita che determina la produttività nel breve termine e non l’inverso.

Poi, certo, politiche per migliorare la qualità dell’istruzione, delle infrastrutture e degli investimenti produttivi sono importanti e necessarie, ma daranno risultati solo dopo diversi anni e a condizione di aver fatto le scelte giuste, ciò che non è per nulla garantito.

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