La guerra in Ucraina ci fa riscoprire la logica della forza militare, fin qui celata a noi europei dall'ombrello della Nato. Sul Donbass piovono le bombe, ma ogni giorno i “realisti” spiegano sussiegosi ai semplicisti, per i quali la Russia sta aggredendo Kyiv, che la realtà è più complessa. Putin non aveva scelta, dicono, l'avevano messo all'angolo; era logico che reagisse.

Non importa che egli abbia fino all'ultimo negato l'intenzione di invadere, né che molti di quanti affermano che egli non aveva scelta, a metà febbraio sostenessero che l'invasione era una montatura della Cia.

Salvo poi, a invasione avvenuta affermare, con carpiato virtuosismo, che era la logica conseguenza delle malefatte occidentali. Per i realisti conta solo la forza militare; l'aggressione era inevitabile, dicono perché, una volta annessasi la Crimea, Mosca doveva poter accedere alla base navale di Sebastopoli via terra, e non solo tramite il ponte sul mare di Azov.

I realisti soffrono di una singolare forma di strabismo, vedono tutto nella prospettiva dei rapporti di forza se parlano delle azioni del governo russo, ma scordano tale prospettiva se si tratta di valutare i comportamenti dell'Ucraina, della Ue o della Nato.

Per prevenire il rischio di essere attaccato, Putin ha attaccato lui, in base al principio noto a Roma come “Chi mena per primo mena dù vorte”.

I realisti riterranno magari che la mossa sia stata dettata dal timore che il tempo per la Russia stesse scadendo; nonostante le migliaia di testate nucleari rischiava di sprofondare fra le potenze regionali minori, ma invadendo l'Ucraina ha costretto tutti a subire la sua forza e messo in ginocchio per i consumi energetici l'Europa. Inabile a usare la propria forza negoziale di acquirente quasi unico, questa sottostà a una Russia ancor più debole dell'Europa, sola acquirente del suo gas.

Putin, dicono, non poteva che attaccare; la vicinanza alla Russia delle basi Nato, al di là del loro armamento, gli puntava un coltello alla gola. Chi accetta tale “realistico” argomento non può però criticare la realistica richiesta di Svezia e Finlandia di aderire - non già di essere “annesse” - alla Nato.

L'una e l'altra ne avrebbero fatto volentieri a meno, e all'inizio della guerra la premier svedese disse che l'adesione non era opportuna. Se i due Paesi han fatto il passo è perché ce li ha tirati per i capelli Putin stesso. I missili russi, capaci di raggiungere Helsinki o Stoccolma in un minuto possono portare lo stesso letale carico dei missili Nato su Mosca o San Pietroburgo.

I due Paesi scandinavi vogliono coprirsi dal rischio di subire il trattamento ucraino da parte di una Russia priva ormai di freni inibitori, convinta che le sue atomiche le permettano tutto, o quasi.

Chi prende i cocci

Come è stato detto, Putin ha commesso oltre ad un crimine, anche un errore, clamoroso. Ha rivitalizzato la Nato in morte cerebrale (Macron dixit), e alfine posto la base concreta di una vera politica estera e di difesa nella Ue; la guerra ucraina li imporrà a tutti.

Non funzionerà la proposta di Boris Johnson, premier in caduta verticale, a Polonia e baltici ex Urss, di un patto contro Mosca. Esso intende anche bloccare i progressi della Ue su tale strada, ma a Washington non c'è più l'amico Trump.

Putin si gode, è vero, lo spettacolo d'un Occidente che mostra crescenti crepe sul come reagire all'aggressione, ma siede per questo sulle rovine fumanti della reputazione e dell'economia russe.

Ora incassa tanto, pur se molti incassi sono sterilizzati dalle sanzioni, ma Mosca la pagherà cara. Il ricatto energetico distrugge un capolavoro d'equilibrismo: la Russia non potrà più essere, come è a lungo stata, insieme, affidabile partner commerciale e duro avversario politico.

Per molti realisti, l'accusa alla Russia non quadra con l'ampia complicità occidentale con l'aggressione, altrettanto immotivata, all'Iraq nel 2003 degli Usa di George W. Bush. Chi la fa scorda le imponenti manifestazioni per la pace di allora, e le numerose manifestazioni di dissenso politico verso quell'aggressione, i cui effetti ancora tormentano l'Iraq.

Quando essi apparvero evidenti, Colin Powell, segretario di Stato usa che pur aveva avallato la balla delle armi chimiche di Saddam Hussein per spianare la strada alla guerra, disse a Bush: You break it, you own it. Se davvero Mosca s'annetterà il Donbass, ricco di materie prime ma distrutto dalle sue bombe, scoprirà il senso di questa nota verità. I cocci saranno suoi, pagando s'intende.

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