La strategia dei due presidenti: indebolire Kiev e accerchiare l’Ue

Dopo i diversi colloqui tra le delegazioni russe, ucraine e americane, che non lasciano presagire alcunché di concreto nel breve periodo a favore del popolo ucraino, sembra di assistere e attendere l’esito di una scommessa tra due visioni contrapposte del nemico. La prima visione è facilmente riconducibile alla frase attribuita all’imperatore romano, Cesare Augusto, nella formulazione «se non puoi battere il tuo nemico, fattelo amico» (Si non potes inimicum tuum vincere, habeas eum amicum). La seconda è la riflessione dell’Imperatore Marco Aurelio che ritroviamo nel suo capolavoro Meditazioni (ovvero Colloqui con sé stesso), elaborata durante la lunga e sanguinosa guerra contro le tribù germaniche: «Il modo migliore per difendersi da un nemico è di non comportarsi come lui» (Optima ultio est non fieri similis inimico). Nato, avviso alla Russia: «Putin non cambia idea? Manderemo altre armi» Negli ultimi concetti di difesa strategica degli Usa, redatti dalle amministrazioni presidenziali democratica e repubblicana, la Cina è considerata come la principale avversaria per l’egemonia globale (economica e militare) e per la competizione nell’Indopacifico, mentre la Russia è descritta come una reale minaccia per la sicurezza euro-atlantica. Su quest’ultimo punto, l‘approccio della presidenza di Joe Biden alla “questione russa” è stata di scontro tramite l’assistenza militare all’esercito ucraino e di incomunicabilità con il Cremlino, puntando su un graduale logoramento dell’orso russo, colpendolo sul terreno militare ed economico con le sanzioni. Questa strategia è risultata inefficace perché, come abbiamo sempre raccontato in queste pagine dall’inizio del conflitto, vi è stata una sottovalutazione delle capacità sistemiche del Cremlino di guarire le ferite e correre ai ripari con l’aiuto di preziosi e silenziosi alleati appartenenti al cosiddetto Sud globale. Il lento logoramento della Russia si è, invece, tramutato in un indebolimento militare e politico dell’Ucraina e dei suoi alleati, accelerato dal cambio al vertice alla presidenza americana. Donald Trump, avvezzo al linguaggio e alla logica del business, condivide con il suo omologo russo quel “realismo politico” che lo ha portato ad applicare la massima di Cesare, convinto che sia impossibile, al momento, sconfiggere il nemico senza perdere anche la competizione con la Cina. Trump ha, quindi, ripreso il dialogo con Vladimir Putin per “farselo amico” e sfruttando già un “comune sentire” di vecchia data su alcuni dossier di natura geoeconomica e geopolitica, dimostrando di essere, seppur nella sua natura umorale, ben disposto a chiudere la partita sull’Ucraina (quasi) totalmente a favore per la Russia. Le prossime settimane ci forniranno maggiori indicazioni se le concessioni americane saranno a scapito della leadership di Volodomyr Zelensky e in linea con i diversi casi di disimpegno americano nella storia, ma già ora hanno evidenziato come i due presidenti siano in sintonia perfetta nell’accerchiare e isolare l’Unione europea senza alcun scrupolo. Chi non ha quel «cinismo» politico rigetta il dialogo anche con un «criminale» come ha affermato l’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, e preferisce approcciarsi ai conflitti mantenendo ben saldi i valori morali, le proprie virtù ovvero i nostri principi liberaldemocratici per i quali è inaccettabile una resa incondizionata dell’Ucraina. Questo percorso ha inevitabilmente portato i leader europei in una situazione estremamente complessa perché si trovano oggetto della strategia/scommessa comune di Trump e Putin (con la compiacenza della Cina) di destabilizzare la coesione europea nella convinzione che l’Europa da sola non può salvarsi e salvare militarmente l’Ucraina dalle mire di questo convitato di pietra. E Putin, che non ha alcun interesse a terminare la guerra ed è ben consapevole che per storia, tradizione e cultura l’Europa sposa la massima aureliana, approfitta anche delle imprecisioni di una traduzione malamente riportata nei media tra proattivo, preventivo e reattivo (pro-active, pre-emptive, reactive) dell’intervista all’ammiraglio Nato, Cavo Dragone, al Financial Times - dove afferma che un «attacco preventivo» (…) «è lontano dal nostro modo di pensare abituale» - per avvalorare la propria tesi dell’Ue che minaccia la Russia. Tra Cesare e Marco Aurelio, pare sempre più evidente che ai leader europei manchino quei leoni e quelle volpi machiavelliche ovvero il Duca di Valentino per evitare un «suicidio politico».