Le “Considerazioni finali” lette dal governatore della Banca d’Italia, sono utili, come ogni anno, a guardare l’insieme dei problemi del paese. Dalle conseguenze della pandemia e della guerra sulla crescita e l’inflazione, alla svolta della politica monetaria, dai conti pubblici alla vigilanza sulle banche, dalle insidie  della deglobalizzazione all’evoluzione dell’Unione europea.

Fra gli accenti più preoccupati vi è quello sull’elevato debito pubblico” che impone di prevedere «adeguati avanzi al netto della spesa per interessi».

Va dunque «evitato il ricorso al debito per finanziare nuovi programmi pubblici», salvo che in quelle «situazioni di reale emergenza» cui peraltro si appellano spesso i fautori degli scostamenti di bilancio per ristori e sussidi. La sostenibilità del debito sarà più difficile se la normalizzazione della politica monetaria farà crescere svelto i tassi.

Secondo la Commissione europea il nostro disavanzo pubblico nel 2022-23 è previsto rimanere, in rapporto al Pil, di circa due punti superiore a quello medio dell’eurozona. Ma l’incidenza su di esso degli interessi debitori è stata l’anno scorso del 49 per cento, molto sopra al 29 per cento della media dell’area dell’euro.

Ciò succede a causa dell’entità del debito e nonostante nell’ultimo decennio il costo dell’indebitamento sia stato molto basso e, nelle scadenze sotto i due anni, addirittura negativo.

Nonostante un disavanzo primario in linea con quello comunitario, la Commissione prevede che nel 2023 gli interessi saranno addirittura il 74 per cento del disavanzo complessivo.

Se i tassi europei e/o il nostro spread crescessero più del previsto, il conto interessi diverrebbe esplosivo e rischieremmo di dover sacrificare alla sostenibilità del debito anche le spese più essenziali dello Stato.

Nel lungo periodo

Com’è tradizione della Banca d’Italia, le Considerazioni dedicano anche molta attenzione ai problemi di più lungo  periodo e alle riforme strutturali necessarie per superarli.

La maggior crescita strutturale facilita infatti banca centrale nello sforzo di stabilizzare le fluttuazioni cicliche dell’economia. La questione della crescita riguarda sia il settore privato che la pubblica amministrazione.

Le imprese efficienti e innovative «impiegano meno di un quarto degli occupati, la metà che in Francia e in Germania». Dal 1995 il tasso di crescita della produttività del lavoro nel settore privato è stato poco meno di un quarto della media dell’eurozona.

È  impressionante e sempre crescente il dualismo col Mezzogiorno dove, ricorda il governatore, «il livello medio del Pil per abitante è inferiore del 45 per cento a quello del Centro-Nord». Vanno rimediate le “diffuse insufficienze dell’azione pubblica” la cui riforma migliorerebbe anche la produttività privata.

Quando si esaurissero gli shock della pandemia e della guerra rischia di riemergere la debolezza del trend di crescita sottostante.

La Commissione europea stima che l’aumento annuale del Pil “potenziale”, cioè il massimo producibile in piena occupazione, nella media 2021-3, sia 0,6 per cento, meno della metà di quello dell’insieme dell’eurozona. Con una produttività del lavoro che rimane stazionaria, le retribuzioni crescono poco più della metà che nell’eurozona e la loro povertà è insieme sintomo, causa e risultato della debolezza dei meccanismi di crescita del sistema.

Occorre - dice il governatore mentre sottolinea l’importanza di quanto previsto nel Pnrr - niente di meno che «cambiare profondamente il contesto in cui si svolge l’attività economica».

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