Manca una riforma al Pnrr presentato dal presidente del Consiglio Mario Draghi in Parlamento per rendere credibile l’enorme investimento previsto per l’alta velocità ferroviaria. I numeri sono impressionanti, tra risorse del piano e del fondo complementare sono stanziati 25 miliardi di euro, a cui bisogna sommare quelli dei cantieri in corso finanziati con risorse nazionali.

La domanda è molto semplice: quali e quanti treni viaggeranno sulle nuove tratte previste e su altre che oggi sono praticamente vuote di convogli?

Perché qui non vale come per le strade, che una volta costruite poi sono percorse da auto e camion. Sulle linee ferroviarie bisogna che qualcuno decida di mettere dei treni.

Più binari che passeggeri

Il problema è quanto mai di attualità se guardiamo ad alcune tratte ad alta velocità percorse da pochi treni passeggeri e merci a fronte di una grande quantità di tracce disponibili. Vale ancora di più nei collegamenti tra regioni, quelli percorsi dagli Intercity che negli ultimi dieci anni si sono ridotti del 40 per cento. Per non parlare delle regioni del Sud, dove anche i treni locali sono diminuiti in questi anni.

Non è vero che una volta costruite le linee poi arriveranno i treni, non funziona così nel nostro Paese.

I treni in circolazione sono infatti “a mercato”, ossia le Frecce e gli Italo che vengono messi dove le imprese vedono un guadagno attraverso la vendita dei biglietti. Oppure sono finanziati dallo Stato, come gli intercity o decisi nei contratti di servizio regionali, pagati con risorse statali e in alcuni casi regionali.

Se è positivo che il nostro Paese investa nelle infrastrutture ferroviarie, dobbiamo sempre farlo con attenzione al debito pubblico accumulato e occorre spiegare quali obiettivi ci si pone e in che modo si migliora l’accessibilità ai diversi territori.

Non basta fare elenchi di opere e di commissari, garantendo che si ridurranno i tempi di percorrenza, bisogna motivare per quale ragione quella soluzione, e non una magari più economica e semplice, sia la migliore.

Al ministero oggi guidato da Enrico Giovannini spetta la responsabilità di spiegare quando e come aumenteranno i treni in circolazione su quelle direttrici, visto che sono considerate strategiche.

Esperimenti per non sprecare 

Se l’obiettivo è avere treni finalmente veloci tra Napoli e Bari, perché intanto non si chiede alle Fs di mettere almeno un treno diretto tra le due città, che eviti di perdere tempo fermi a Caserta?

Il governo dovrebbe inoltre spiegare quali spostamenti saranno intercettati tra quelli che oggi avvengono in auto o in aereo, o più spesso in economici pullman da Catania, Reggio, Lamezia o Bari. La Francia, ad esempio, vieterà i collegamenti aerei sulle direttrici connesse efficacemente dall’alta velocità.

È una scelta coerente, come lo sarebbe smetterla di trasferire risorse dirette e indirette agli spostamenti in aereo o su gomma lungo percorsi dove è possibile muoversi con meno tempo e emissioni di gas serra.

A un premier europeista come Draghi dovrebbe piacere la ricetta più trasparente, quella di cominciare a mettere a gara il servizio lungo le direttrici in cui in questi anni sono spariti i treni.
Se a Trenitalia non interessa parteciperanno altri operatori stranieri o italiani. Le risorse necessarie sarebbero limitate ma i risultati si vedrebbero in pochi mesi e il successo sarebbe garantito.

Il rapporto Pendolaria di Legambiente racconta il successo di linee, in ogni parte d’Italia, dove garantendo un servizio di qualità aumenta il numero di persone che prende il treno. Non occorre andare a 300 chilometri all’ora, su alcune direttrici non servono neanche due binari, basta avere linee elettrificate e più treni nuovi, in particolare negli orari dei pendolari, competitivi come tempi con la gomma. Ma di questi obiettivi nessuno parla, né di modelli di servizio che giustifichino gli interventi.

Quello che serve subito

Il rischio evidente è di imbarcarci in cantieri infiniti, mentre non siamo in grado di dare la risposta che serve subito al rilancio dell’economia e del turismo. Migliorando, a nord come a sud, i collegamenti tra porti e città, tra aeroporti e località turistiche. Dove scendere e trovare la coincidenza con autobus, una rete ciclabile e dei mezzi in sharing.

In altri paesi europei il Governo definisce gli obiettivi per i collegamenti tra le città principali e poi sottoscrive contratti con le imprese per garantire servizio e investimenti, controlli. Ora che le direttive obbligano a garantire la liberalizzazione del servizio sulla rete ferroviaria, sarebbe quanto mai urgente anche in Italia una riforma che permetta di chiarire i differenti ruoli e ai cittadini di non dover aspettare dieci anni prima di vedere i risultati del recovery plan.

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