All’improvviso i partiti di maggioranza si sono svegliati per contestare una scelta del governo, peraltro non ancora ufficiale anche se già annunciata a marzo: il blocco del cashback a luglio, un provvedimento anti-evasione che aveva incentivato pochi comportamenti virtuosi e molti opportunistici. E proprio per questo riscuoteva un consenso trasversale, anche tra partiti che hanno sempre promosso condoni o e furbizie varie (da Forza Italia ai Cinque stelle). Il cashback funzionava oppure no? Ha senso fermarlo?

Mettiamo in fila quello che sappiamo. A novembre 2020 il governo Conte adotta due misure che, nelle intenzioni dichiarate, dovrebbero combattere l’evasione dando incentivi al pagamento degli acquisti con strumenti elettronici. Ci sono rimborsi a chi paga con carta di credito o bancomat e poi una lotteria degli scontrini, alla quale ci si può iscrivere, ottenere un codice e partecipare quando si va in negozio. Vengono stanziate cifre rilevanti: 3 miliardi all’anno per il 2020, il 2021 e il 2022.

Oggi finisce il primo periodo semestrale di accumulo dei diritti al rimborso che arriverà direttamente sul conto in banca del beneficiario. C’è il rimborso classico, pari al 10 per cento di ogni transazione fino a 150 euro e il SuperCashback, forfettario: i primi 100mila contribuenti che hanno totalizzato il maggior numero di transazioni ottengono 1.500 euro.

Come prevedibile, da mesi si raccolgono storie di furbizie che mirano non a ridurre il ruolo del contante e dell’evasione, ma a vincere il premio. Si racconta di persone che passano le notti ai self service dei distributori di benzina per accumulare centinaia di micro-transazioni che permettano di scalare la classifica e puntare al super premio da 1.500 euro. Al di là di queste scorciatoie, resta la grande domanda: il cashback funziona? Per rispondere bisognerebbe aver fatto una cosa che in Italia nessun governo ama: decidere l’obiettivo di una politica pubblica prima di adottarla, stabilire un sistema di misurazione della coerenza tra obiettivi e risultati e arrivare a una valutazione condivisa. In questo caso, come in tanti altri, non è stato fatto.

Misurazione impossibile

Non c’è modo, quindi, di capire se le transazioni associate ai bonus e alla lotteria siano aggiuntive rispetto a quelle che si sarebbero verificate comunque in assenza di intervento o se invece lo Stato stia semplicemente sussidiando contribuenti che già usavano carte digitali, mentre gli evasori continuano a evadere. Non basta neppure un calcolo grezzo (sono aumentati i pagamenti cashless?) perché bisognerebbe considerare tutti gli altri fattori che possono contribuire a un aumento, o comunque incidono: il ciclo economico, l’innovazione digitale (la facilità di pagamento con uno smartphone è molto maggiore di qualche anno fa), e così via.

Di sicuro un effetto c’è stato: l’introduzione del cashback prima di Natale 2020 legato ad acquisti in negozi fisici ha dato un potente incentivo a uscire di casa e assembrarsi in locali chiusi in un momento nel quale ancora non c’erano vaccini e il pericolo di contagio da Covid era massimo, e chissà quante vite sono costati quei 222 milioni di euro rimborsati a chi ha fatto almeno 10 operazioni senza contanti tra l’8 e il 31 dicembre.

L’Ufficio parlamentare di bilancio, l’autorità indipendente che vigila sui conti pubblici, già a novembre ammoniva che queste misure «non appaiono offrire adeguati incentivi a contrastare la cosiddetta evasione con consenso», quando c’è accordo tra cliente e fornitore. I fornitori possono offrire risparmi maggiori di quelli che si possono ottenere dal bonus e il cliente può essere tentato da accettarli. Un argomento in più per sospettare che il bonus cashback sia diventato un sussidio a contribuenti già onesti ma relativamente benestanti (quantomeno con un conto e uno strumento elettronico associato, di cui i più poveri sono privi) mentre gli evasori hanno continuato a farsi i comodi loro.

Il vero beneficio collettivo è stato dare un incentivo a molte persone forse refrattarie a scaricare la app IO e ad attivare l’identità digitale per la pubblica amministrazione, lo Spid, due premesse per future interazioni digitali più fluide. Ma già a marzo il ministro dedicato alla Transizione digitale, Vittorio Colao, aveva sollevato dubbi sul fatto che fosse il cashback il modo più efficace ed efficiente per andare nella direzione giusta. La decisione di fermare il programma, quindi, è più che razionale. Ma il partito dei bonus nella politica italiana è trasversale e molto potente, vedremo cosa prevarrà.

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