Alle prese da giorni col mio turno di Covid (cartellino rosso a chiunque si azzardi a definirlo un banale raffreddore!) altro non rimane da fare che assorbire decine di ore di una diretta televisiva inesausta su radici, ragioni, sbocchi, di questa assurda crisi di governo.

Penso che Giuseppe. Conte abbia compiuto un errore gravissimo. Aprire una crisi in questo contesto non trova giustificazione e determina una incertezza pericolosa, paralizza le misure più urgenti nella tutela dei salari e a protezione delle fasce fragili, mette a repentaglio l’erogazione della tranche di fondi europei del Pnrr.

La reazione del paese sembra trasmettere la consapevolezza dei rischi, dunque c’è da augurarsi che l’iniziativa politica e “diplomatica” consenta al governo di proseguire un’azione segnata dalle note tribolazioni, ma con un’agenda di adempimenti che di per sé dovrebbe consentire una ripartenza e la gestione ordinata dei prossimi mesi.

In questo affollarsi di voci e sentenze un aspetto linguistico anche a me è parso emergere con una certa brutalità. 

A colpirmi sono i toni di coloro che, o perché dentro al Movimento Cinque stelle si sono formati e hanno maturato la propria quota di potere, o perché col Movimento hanno intessuto una collaborazione, non possono dirsi estranei a una relazione che in passato hanno scelto di intrattenere con una realtà liquidata solo adesso con un lessico, categorie e insulti che mal si conciliano col rispetto non dell’altro, ma della stessa propria biografia. 

Nulla di male nel cambiare idea se a maturare è un giudizio anche pesantemente critico nei confronti di qualsiasi potenziale interlocutore.

Il tema riguarda la percezione che, ancora una volta, si ha dall’esterno della superficialità con la quale si affrontano pagine dell’esperienza vissuta ritenendole funzionali solo alla contingenza dell’istante o del semestre.

Italy's Prime Minister Giuseppe Conte addresses a media conference at an EU summit in Brussels, Friday, Dec. 11, 2020. European Union leaders have reached a hard-fought deal to cut the bloc's greenhouse gas emissions by at least 55 percent by the end of the decade compared with 1990 levels, avoiding a hugely embarrassing deadlock ahead of a U.N. climate meeting this weekend. (Olivier Hoslet, Pool via AP)

Questo vale nei confronti del giovane ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che di quel movimento è stato il capo politico, a lungo ne ha condiviso ispirazione, ovviamente la lingua, e che sembra oggi trattarne le sorti come affrontasse una materia a lui del tutto estranea e che in alcun modo è stata parte del suo itinerario politico e umano.

Nnon ne faccio una questione di bon-ton. Rubo piuttosto la citazione a Corrado Augias che a sua volta l’ha attinta dal genio di Wittgenstein: «I confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo».

Mi domando se anche questo modo di “archiviare” il passato di tutti a cominciare dal proprio, come se ogni alba fosse l’inizio di un nuovo mondo e non, in qualche misura, la concatenazione di cause ed effetti con le scelte compiute in precedenza, ecco se tutto questo non finisca col favorire un immiserimento della percezione che della politica hanno o possono avere milioni di nostri cittadini.

Argomento di vecchia data, ma in questo passaggio così complicato, immersi come siamo in una crisi dell’esito incerto, la possibilità che il distacco tra una parte del paese e le sue istituzioni, quelle della democrazia rappresentativa, si allarghi ancora di più a me pare un pericolo aggiuntivo che andrebbe contenuto nei suoi effetti forse anche a partire dallo stile delle parole.

Perché la crisi ricade per intero sulle spalle dei Cinque stelle, ma evitare di trascinare la residua reputazione della classe politica in una miscellanea di insulti, ecco almeno questa deriva, nei limiti del possibile, io me la eviterei. 

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