Incredibilmente, fino a ieri, poche analisi sulla crisi hanno preso sul serio il peso politico acquisito dal presidente del Consiglio. La mossa di Matteo Renzi partiva addirittura da un assunto opposto: che potesse essere considerato un tecnico fungibile, alla stregua del professore poco conosciuto proposto per palazzo Chigi da Luigi Di Maio nel maggio 2018.

La forza del premier è in parte un riflesso del ruolo esercitato nel nostro sistema istituzionale dal Quirinale e dall’influenza indiretta esercitata dai leader europei che contano a Bruxelles, dato che l’uno e gli altri sembrano persuasi che Conte sia la migliore garanzia di stabilità per l’Italia in questo difficile momento.

È inoltre noto che Conte goda di una notevole benevolenza da parte dell’opinione pubblica. Il modo in cui normalmente vengono esposti e interpretati i dati sulla fiducia nei suoi confronti non sempre rende però giustizia delle loro possibili implicazioni sui rapporti di forza tra i leader, in caso di scontri come quello attualmente in atto.

Molti forniscono e leggono gli indicatori sulla fiducia espressa nei confronti delle personalità del mondo politico come se servissero a scegliere Mister o Miss Italia, considerando misure calcolate con riguardo al campione nella sua interezza.

Certo, meglio essere stimati anche in campo avverso. Ma alla fine dei conti l’apprezzamento decisivo per un leader politico è quello dei suoi potenziali elettori.

Ci sono differenze nel modo in cui viene rilevata la popolarità e quindi nelle misure specifiche di consenso attribuite a ciascuna figura.

Qui riporto i dati ancora inediti dell’ultima rilevazione SWG svolta tra il 14 e il 15 gennaio su un campione di 800 individui con metodo Cawi. Considero, in particolare, la percentuale di rispondenti che dichiarano di avere abbastanza o molta fiducia nel presidente del consiglio.

Nel complesso, questa percentuale è cresciuta di due punti rispetto alla settimana precedente. Insomma, sembra che la cura Renzi abbia fatto bene al premier.

La cosa importante è che Conte continua a godere di un sostegno larghissimo non solo tra gli elettori del M5s (96 per cento), ma anche tra quelli del Pd (85 per cento), e più in generale tra chi si auto-colloca nel centro-sinistra (75 per cento) o a sinistra (73 per cento).

Ancora più importante è che mostrino stima nei suoi confronti il 65 per cento degli indecisi e il 63 per cento di coloro i quali preferiscono non dire dove si collocano. Si tratta di una misura rassicurante per il governo e di un robusto indizio sulle potenzialità di una Lista del premier alle prossime elezioni.

Da qui deriva un terzo e decisivo atout del Presidente del Consiglio. Non solo la continuità del suo governo può rassicurare chi ha già capito di non avere grandi chance di rielezione (e sono tanti).

È anche uno dei pochi leader politici a disporre potenzialmente di un certo numero di seggi parlamentari da assegnare per la prossima legislatura con ampia discrezionalità, libero da vincoli di partito. Complice la riduzione del numero complessivo, nemmeno Giorgia Meloni e Matteo Salvini, nel caso in cui stravincessero, avranno un margine di libertà equiparabile. Non vuol dire che Conte stia negoziando su queste basi. Potrebbe bastare la plausibilità del calcolo a orientare l’atteggiamento nei suoi confronti di alcuni costruttori.

Tutti fedeli a Renzi?

D’altra parte, Matteo Renzi potrebbe aver sbagliato anche un altro assunto, ripetutamente sbandierato nei giorni scorsi. Che la sua pattuglia sia oggi tutta composta da seguaci disposti a sacrificare, per lui, posizioni attuali e carriere future. In effetti, i gruppi di Italia Viva sono stati consapevolmente costruiti da Renzi al momento della formazione delle liste Pd nel 2018, quando si barricò nel suo ufficio fino a un attimo prima di comunicarle alla direzione nazionale.

Non sembra nemmeno un caso che il gruppo Iv-Psi di palazzo Madama sia percentualmente più robusto di quello di Montecitorio. Era prevedibile che al Senato qualsiasi maggioranza sarebbe stata più labile. E con il bicameralismo perfetto basta avere potere di veto in una delle due camere per avere potere di veto sull’intero processo decisionale.

Il peso politico di Renzi è appeso a questo secondo assunto. Vedremo se dopo l’ultima partita giocata ancora una volta come un one man show, con gli altri e le altre direttamente coinvolte trattate come comparse, verrà confutato.

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