Il governo di Giuseppe Conte voleva affidare i 209 miliardi del Recovery Plan a un gruppo di manager pescati dalle società controllate dal Tesoro, pieni di conflitti di interessi. Il governo di Mario Draghi arruola la più grande delle società di consulenza, McKinsey, per aiutare il ministero dell’Economia nella fase di stesura del piano. Le proposte avanzate da tanti economisti e associazioni – usare la pubblica amministrazione, magari potenziata con nuovi innesti da concorsi rapidi – sono durate lo spazio di un amen, alla fine arrivano loro, i professionisti del Power point, i leader globali nella consulenza strategica. Che lavoreranno quasi gratis, 25mila euro più Iva, per spirito di servizio.

La versione rassicurante lato governo è questa: McKinsey ha competenze che i ministeri non hanno, conoscono i settori in cui il Recovery Plan produrrà effetti, lavorano in tutto il mondo e hanno maturato esperienze che tornano utili in una fase in cui servono decisioni rapide. Nessun conflitto di interessi perché lavorano per il ministero in una fase preliminare, l’esito del lavoro diventerà pubblico e passerà dal parlamento, dunque tutto a posto. Se mai McKinsey otterrà consulenze anche da società beneficiarie degli investimenti sarà in seguito, in piena trasparenza.

Ci sono subito tante domande sul ruolo di McKinsey: “Quale mandato ha? Di chi? Dato come? A quali informazioni strategiche del paese ha accesso?”, si chiede su Twitter l’ex ministro Fabrizio Barca, che al Tesoro ha passato una vita da dirigente. Il ministero risponde a metà, con un comunicato stampa: «L’attività di supporto richiesta a McKinsey riguarda l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri paesi dell’Unione europea e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano». Che vuol dire tutto e niente, perché un conto è uno “studio” un conto è il “project management”, cioè la specialità di McKinsey, che in italiano si traduce con gestione dei progetti. Quello che è certo, anche dal comunicato ministeriale, è che McKinsey avrà accesso a tutte le informazioni rilevanti.

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McKinsey sostiene sempre di avere “muraglie cinesi” tra i diversi rami di azienda, ma parte del suo valore sul mercato deriva proprio dall’operare in tanti campi diversi per accumulare informazioni.

Un esempio tra i mille possibili: con il suo braccio di ricerca, McKinsey studia come «monetizzare i dati prodotti dal settore automobilistico». Con il 5G le auto genereranno tonnellate di dati preziosi su stili di guida, percorsi, comportamenti del guidatore. Dati che possono diventare redditizi. Nel fare consulenza a un governo, McKinsey può influenzare il contesto di regole che rendono possibile o vietano quel nuovo business, e quindi creare o meno le opportunità che poi potrà aiutare clienti aziendali a sfruttare.

Quindi, anche se oggi lavora gratis (o quasi, si parla di un rimborso spese per il personale), per McKinsey occuparsi del Recovery Plan è anche un grande investimento. Anche di comunicazione. La società è un marchio mondiale, destinazione ambita per tutti gli studenti delle business school americane. Ma per la prima volta nella sua storia ha un serio problema di reputazione.

Gli scandali di McKinsey

A fine febbraio ha di fatto licenziato l’amministratore delegato Kevin Sneader, che aveva iniziato il suo mandato risarcendo per milioni di dollari lo stato del Sud Africa per contratti che violavano le leggi del lavoro locali e lo ha chiuso con una transazione gigantesca legata all’epidemia da oppioidi negli Stati Uniti.

McKinsey ha transato, senza ammettere comportamenti scorretti, con praticamente tutti gli Stati americani e ha pagato circa 600 milioni di dollari per il suo ruolo nella diffusione dell’OxyContin, un potente antidolorifico prodotto dalla Purdue Pharmaceutical.

La multinazionale si è dichiarata colpevole per aver diffuso un medicinale che dava grande dipendenza senza tenere in considerazione i pericoli, deve pagare 8,3 miliardi di dollari e ha dichiarato bancarotta (anche per rendere quel pagamento più complicato). McKinsey ha lavorato con Purdue per spingere le vendite a prescindere dalle conseguenze, il New York Times riporta che, tra l’altro, i consulenti hanno spiegato ai manager Purdue come “contrastare i messaggi emotivi che arrivano dalle madri con i figli adolescenti in overdose”. McKinsey è stata sotto accusa anche per aver lavorato per l’ente del governo americano che si occupa di immigrazione nella stagione dei respingimenti al confine dell’amministrazione Trump.

Finora, però, la società di consulenza ha sempre saputo limitare i danni degli incidenti, grazie anche al suo potente network di “alumni”, cioè ex dipendenti McKinsey che hanno continuato la carriera fuori dal gruppo. Sono 42.000 e vanno da Sundar Pichai, il capo di Google, al ministro dei Trasporti di Joe Biden, Pete Buttigieg, che in campagna elettorale è stato attaccato proprio per il suo lavoro a McKinsey (in una complicata vicenda che riguardava un accordo segreto tra imprese per tenere alto il prezzo del pane). Tra gli ex McKisney c’è anche Vittorio Colao, il nuovo ministro del Digitale del governo Draghi.

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