Nel 2022 vedo quattro scenari per l’economia internazionale. Il più probabile (50 per cento) è un’uscita graduale dai guai del 2020-21 meno brillante di quanto si prevedeva pochi mesi fa ma in grado di tentare la salita su un trend di crescita migliore di quello pre-Covid. L’inflazione rimane alta sia in Europa che negli Stati Uniti, ma non è attesa accelerare perché c’è un iniziale rientro degli stimoli monetari. Le politiche di bilancio rimangono espansive ma viene impostato il futuro contenimento dei debiti pubblici.

In Ue il ridisegno del Patto di Stabilità si conclude con difficoltà in autunno, ma ha due elementi “rassicuranti” per la sua applicabilità: una velocità di riduzione dei debiti minore per chi li ha più alti e qualche favore per le spese di investimento più rilevanti per le transizioni energetica e digitale.

Meno immaginabili già l’anno prossimo intenzioni serie su una destinazione più appropriata dei titoli di Stato in bilancio alle banche centrali; difficile anche supporre passi avanti per completare l’Unione bancaria e dei mercati dei capitali, cioè l’antidoto principale a future crisi finanziarie dell’eurozona.

La posizione relativa dell’Italia in questo scenario di lento miglioramento non è delle migliori: nonostante politiche sanitarie di successo, da noi le svariate complessità della politica rendono i progressi economici più incerti.

Lo scenario ottimista

Il secondo scenario è più ottimista ma meno probabile (10 per cento): una ripresa più decisa, favorita da un rientro rapido della pandemia, nutrita di buoni investimenti. I problemi dell’inflazione e dei debiti vengono ridimensionati dalla crescita. Le politiche monetarie e di bilancio avviano la normalizzazione con impegni seri per gli anni seguenti.

La posizione relativa dell’Italia migliora, come succede nelle fasi di riduzione dei rischi internazionali quando, per gli investitori, le potenzialità del paese dominano le sue debolezze.

I due pessimistici

Rimane il 40 per cento di probabilità, che dividerei fra due scenari pessimistici. Col 20 per cento a una nuova ondata pandemica grave, soprattutto per le carenze di vaccinazione del mondo meno sviluppato, con conseguenze sulle produzioni e gli equilibri finanziari come nel ’20-’21 e il rinvio della normalizzazione delle politiche. Il futuro sembrerebbe oscuro ed è difficile dire come reagirebbero gli equilibri politico-strategici nelle varie parti del mondo.

La posizione relativa dell’Italia sarebbe abbastanza stabile, prevalendo il fatto che saremmo tutti alla deriva sulla stessa barca. Unica speranza: che il nuovo aggravamento delle cose sviluppi propositi e progetti costruttivi e solidali, come è avvenuto a tratti negli ultimi due anni. Allora gli scenari per gli anni successivi potrebbero abbellirsi.

L’ultimo 20 per cento di probabilità va allo scenario che si intravedeva prima della pandemia: l’avvicinarsi di una crisi finanziaria internazionale, ancor più grave di quella del 2008, nutrita dagli enormi debiti ulteriori che si sono accumulati e dai rischi che investitori e intermediari finanziari hanno assunto nell’ultimo decennio, stimolati da vigilanze ancora inadeguate e tassi di interesse mantenuti bassi o negativi per troppo tempo.

La crisi finanziaria può scavalcare l’accelerazione dell’inflazione, che può innescare illiquidità e insolvenze con reazioni scoordinate delle politiche monetarie e disorientamento dei mercati. Poi l’inflazione smette, mentre i premi di rischio sui tassi di interesse salgono anche con violente speculazioni.

Negli Stati Uniti la crisi morderebbe la parte più esposta e meno regolamentata del sistema finanziario non bancario, ma disturberebbe anche le banche e farebbe vittime fra le imprese imprudentemente finanziate.

Nell’eurozona risorgerebbero barriere di rischio-Paese bloccando la circolazione dell’euro.

I tanti titoli di Stato in bilancio alle banche perderebbero valore portando ad aumentare i tassi sui prestiti e a bloccare le erogazioni di credito. I tentativi di salvataggio delle banche aggraverebbero ancor più le finanze pubbliche. Parlare di Patto di Stabilità tornerebbe impossibile.

Potremmo rivedere timori di disfacimento dell’euro come nel 2010-12, scontando che le lezioni di quella crisi non sono bastate per centralizzare di più la gestione della finanza pubblica e della regolazione finanziaria dei Paesi membri. Difficile misurare e delimitare nel tempo i danni che una crisi finanziaria seria può fare in economie così esposte al debito e abituate a liquidità elevata.

Questo è lo scenario peggiore e in esso, per ovvie ragioni, la posizione dell’Italia è particolarmente fragile e grave, come lo fu nella scorsa crisi dell’eurozona.

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