La nostalgia e il desiderio di basare l’autorità non sulla democrazia, sul dialogo e sulla persuasione razionale, ma sulla tecnica e la competenza sono ancora diffuse anche tra coloro che si dichiarano inorriditi dall’avanzata delle autocrazie, dal vilipendio dei diritti e dal ritorno dei fascismi
Intendiamoci, quello del conclave, che si è concluso, è un rituale fantastico: antico e ormai planetario, ricco di simboli e di fantasie di intrighi e complotti, radicato in una storia millenaria che per tanti versi coincide con quella della parte del mondo in cui viviamo, misterioso come un thriller, solenne e magnifico negli ambienti, nelle vesti e nel rituale dei partecipanti.
E poi funzionante: nella chiesa cattolica ha permesso di designare personaggi fenomenali che hanno segnato la storia del nostro tempo e tenuto altissimo il prestigio dell’istituzione religiosa.
Detto questo, il conclave non è un evento folcloristico o una ricostruzione storica e l’ammirazione e l’incanto estasiato mostrato da tanti laici, anche di sinistra, di fronte a questo evento non mi paiono solo estetici, ma anche e forse soprattutto politici (i credenti sanno essere, in genere, più lucidi e critici).
Essi celano, secondo me, il più comune e diffuso tra i sentimenti umani: l’invidia. Tanti laici italiani, anche di sinistra, si sono detti: «Come sarebbe bello se potessimo riunire in una grande stanza 130 membri dell’élite (economica, politica e giudiziaria), un manipolo di moderni aristocratici, e affidare loro il compito di designare il capo del paese per i prossimi cinque anni, mettendo fine o almeno sospendendo quel rituale così pericoloso che si chiama “elezione popolare”».
Gli errori del popolo
Si dicono, costoro, che le masse non si sono dimostrate in grado di compiere le scelte più oculate, che hanno prodotto mostri come Donald Trump e Viktor Orbán, che hanno dato il via libera a fascisti e populisti che mettono a rischio il futuro dei nostri sistemi sociali, delle nostre economie e dei nostri risparmi.
Sarebbe meglio affidare, come fa da sempre la chiesa, la scelta cruciale di chi debba comandare a un gruppo di prìncipi, di nobili, anziani e maschi, che sapranno farsi ispirare se non dallo Spirito santo dalla loro competenza e preparazione professionale e culturale.
Tanto più, continua il ragionamento di costoro, che non c’è certo bisogno di ricorrere al popolo per dividersi tra conservatori e progressisti, tra innovatori e restauratori. Come dimostrano tutte le indiscrezioni del pre conclave cattolico, tra i gerarchi ci sono gli uni e gli altri, c’è la sinistra e c’è la destra.
Il panel perfetto
Per costruire un panel perfetto di membri dell’elité nazionale basterebbe usare correttamente il bilancino, come fa da tempo la chiesa e mettere dentro un po’ di rappresentanti del Nord, un altro po’ del Sud, un po’ di industria e un po’ di finanza, un tantino di commercio e un pizzico di cultura.
Se la miscela fosse ben assortita, si dicono ancora i neo-oligarchici, avremmo sicuramente una buona soluzione, saremmo in grado di nominare un capo-padre della patria capace di guidare il paese verso il progresso e il benessere diffuso, governando con lucidità e raziocinio. Magari, come ha fatto splendidamente papa Francesco, anche sapendo dispensare parole di misericordia e di solidarietà verso i poveri, i deboli, i perdenti, la parte più sofferente della società.
Quello che ho descritto è ovviamente solo un retropensiero, che rimane latente e inespresso dentro tanti di coloro che lo hanno nutrito in questi giorni. La sua esistenza, rivelata da tanti indizi, però è interessante perché mostra che i nemici della «società orizzontale» (per citare il titolo di un libro che pubblicai anni fa con Nadia Urbinati) sono ancora tantissimi, che la nostalgia e il desiderio di basare l’autorità non sulla democrazia, sul dialogo e sulla persuasione razionale, ma sulla gerarchia, la tecnica e la competenza sono ancora diffuse anche tra coloro che si dichiarano inorriditi dall’avanzata delle autocrazie, dal vilipendio dei diritti e dal ritorno dei fascismi.
Il cammino da percorrere per liberarci da queste tentazioni, almeno nel nostro paese, è ancora lungo. Osservare ciò che è accaduto in questi giorni nella chiesa senza troppi sbandamenti emotivi e nostalgie reazionarie, ma in modo lucido, critico e razionale, in una parola laico, sarebbe un primo passo importante in questa direzione.
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