Su Repubblica, Michele Serra va al cuore del momento politico esprimendo il disagio di un paese troppo grande per appendersi alle sorti di un solo uomo, per quanto valido; paventa «la tutela di uno stato profondo che, da Giorgio Napolitano in poi, esautora almeno in parte la politica e il ruolo dei partiti, un tempo primi artefici del gioco,.. a vantaggio di soluzioni che non scaturiscono dalla loro propria azione, ma dall'illuminata visione di classi dirigenti extra-parlamentari». Prima di lui Gianfranco Pasquino ha qui descritto tale realtà.

Per chi abitava la parte giusta della "cortina di ferro”, la scomparsa di un regime oppressivo e inefficace portò, anziché alla fine della storia, a un capitalismo predatorio, che crea sì nuova ricchezza, ma distribuendola così da allargare le disuguaglianze. Ricchezza molto concentrata in piattaforme social prosperanti sulla divisione faziosa e sulle “bolle” come QAnon negli Usa, sfociate nell'assalto di un anno fa a Washington qui rievocato da Enrico Deaglio.

Tale fattore strutturale ha inasprito le società; si aggiunga il danno congiunturale, ma durevole e grave, inferto in Italia da una televisione che, dagli anni Ottanta in poi, ci ha imbeceriti più di quanto altrove avvenuto, esaltando furbizia e menefreghismo. Sgomenta vedere ora il gran fautore e beneficiario di quella frana etica, Silvio Berlusconi, candidarsi al Quirinale senza che una risata omerica seppellisca la sola idea.

Non era necessario che i partiti scendessero di livello per mantenere il contatto con gli elettori, avevano anche altre e più sagge scelte; questo però han fatto.

È stata anche uccisa in culla una legge elettorale, il Mattarellum, rea di essersi rivelata efficace sì – ha dato ad ambedue gli schieramenti il potere – ma scomoda per la destra che, avutolo, la rimpiazzò col Porcellum.

La democrazia non vive ogni cinque anni nel voto, ma ogni giorno nelle sue istituzioni; lo “stato profondo” - più semplicemente, lo Stato - ha davvero protetto la democrazia tutta dai suoi errori, in Italia col Conte 1 e anche nei quattro anni (per ora...) di Donald Trump negli Stati Uniti.

L'apparato istituzionale si è comportato come rete di sicurezza per le pericolanti democrazie; l'Italia, vero laboratorio politico, spesso apre vie nuove, pure pericolose, che altri poi seguiranno.

Troppi parlamentari, fedeli al leader che li ha messi in liste bloccate, non giocano per vincere coi risultati, ma per strappare effimeri applausi alle tribune.

Una politica che si esaurisce nella postura finisce per implorare l'aiuto di qualcuno. Si dichiara così impotente, ma resta capace di affondare il presunto salvatore.

Per questo, la scelta del nuovo presidente della Repubblica, le successive dimissioni del governo in carica e la designazione di chi dovrebbe formare quello nuovo, aprono un periodo di cui si parlerà a lungo; si spera per narrare la saggezza delle scelte che in parlamento si faranno, e non l'insipienza di chi, come lo scorpione del noto apologo, affogò se stesso e la rana salvatrice.

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