Bastano un dollaro e dodici cent per comprare un euro che da fine maggio si è svalutato dell’8,3 per cento rispetto alla valuta americana, 3,1 per cento con la sterlina, 3,8 per cento con lo Yen, 4,8 per cento col franco svizzero, col quale è ai minimi dal febbraio del 2015, 8,4 per cento rispetto al renmimbi cinese col quale è ai minimi da marzo 2016.

Le politiche monetarie

FILE - In this Dec. 1, 2020, file photo, Federal Reserve Chair Jerome Powell listens during a Senate Banking Committee hearing on Capitol Hill in Washington. Federal Reserve officials at their April 2021 meeting reaffirmed the view that the central bank's ultra-low interest rate remained the best policy approach, but some officials cautioned that some factors pushing inflation higher may not be resolved quickly. In minutes of their discussions released Wednesday, May 19, 2021 a number of participants in the discussions expressed the view that supply chain bottlenecks and input shortages that were pushing prices higher may not be resolved quickly and could end up putting “upward pressure on prices beyond this year.” (Al Drago/The New York Times via AP, Pool, File)

Guardiamo al dollaro. Alla presidenza della Federal Reserve il presidente Joe Biden ha confermato Jay Powell, con solo la vicepresidenza a Lael Brainard, considerata più avversa a politiche restrittive. La spiegazione diffusa del dollaro forte è che di fronte a un’accelerazione internazionale dell’inflazione, solo la Fed ha già accennato a diventare meno espansiva.

L’inflazione americana è però un poco maggiore che nell’eurozona: 6,2 per cento negli ultimi 12 mesi, contro il 4,1; negli ultimi 36 mesi l’indice dei prezzi al consumo è aumentato di quasi il 10 per cento negli Usa contro poco più del 6 per cento. Inoltre la Fed ha solo iniziato a ridurre gli acquisti di titoli senza impegno a ridurne la detenzione.

Quanto ai tassi di interesse, sia la Fed che la Bce hanno rinviato ogni ritocco a quando, per dirla con Powell (analoghe sono le dichiarazioni della Bce) si vedrà «l’inflazione, o le aspettative di inflazione, oltre il 2 per cento in modo considerevole e persistente».

È vero però che l’intera struttura dei tassi di interesse negli Stati Uniti è più alta che da noi, col titolo del Tesoro a 10 anni che rende 1,6 per cento mentre il rendimento medio dei titoli di Stato a 10 anni in euro è solo 0,15 per cento e addirittura -0.3 per cento quello medio dei paesi emittenti col massimo rating.

Inoltre, già a settembre i membri del comitato di politica monetaria della Fed prevedevano un rialzo dei tassi a breve che essi stessi decideranno in futuro per mantenere gli obiettivi della politica monetaria: la mediana delle loro previsioni era un piccolo aumento l’anno prossimo ma un intero punto percentuale nel 2023 e quasi due punti nel 2024. Lecito supporre che cominceranno davvero il rialzo nel 2022.

Nessuno azzarda questa previsione per la Bce e ciò conferma la divaricazione delle politiche anche per spiegare la rivalutazione del dollaro.

Bilanci pubblici e incertezze politiche

Conviene però guardare oltre le politiche monetarie. Innanzitutto a quelle di bilancio, perché a parità di stimoli monetari tendono a rivalutarsi le monete dei Paesi dove sono maggiori quelli fiscali.

Mentre il Congresso approva l’enorme pacchetto di stimoli fiscali di Biden, l’Ue pianifica la reintroduzione del Patto di Stabilità che alcuni vorrebbero severo con i debiti pubblici nazionali e quasi tutti i Paesi membri chiedono meno della loro quota di nuovo debito pubblico comunitario del programma Next Generation EU.

Dopo la risposta concorde e innovativa alla pandemia l’Unione ha poca compattezza politica, la sua leadership subisce la complessità delle elezioni tedesche e francesi, alcuni paesi contestano gravemente la Commissione, le prospettive dell’integrazione e del posizionamento geopolitico dell’Ue sono incerte.

L’incertezza nuoce agli investimenti in euro e rivaluta il dollaro che denomina un mercato finanziario ricco e profondo e funge da moneta rifugio in tutte le fasi di rischi crescenti per l’economia mondiale, come quelli oggi in evidenza per i rapporti dell’occidente con Cina e Russia.

Il ruolo globale dell’euro

All’eurozona nuocciono le scarse prospettive del ruolo globale dell’euro, che non cresce per tante ragioni ma, in particolare, perché non c’è progresso nell’unione bancaria e dei mercati dei capitali.

Senza un mercato finanziario unito e omogeneo l’euro rimarrà diviso e insufficientemente liquido, indebolito dalle divergenze economiche e dai rischi politici dei singoli paesi membri, non abbastanza competitivo per accrescere il suo uso globale come valuta di riserva e per transazioni commerciali e finanziarie.ù

Fra le tante cose da fare per aumentare la compattezza dell’eurozona ci sarebbe un pronto accoglimento da parte della Commissione e dei Paesi membri delle regole più severe sulla capitalizzazione delle banche disegnate dal Comitato di Basilea, sulle quali invece si stanno esercitando lobby bancarie e nazionaliste. E sarebbe importante accentrare davvero la gestione delle banche in difficoltà.

Il Monte dei Paschi di Siena, per esempio, è dichiaratamente carente di capitale e in difficoltà da diversi anni, ma il suo dossier non viene trasferito come dovrebbe all’istituzione europea creata apposta per gestire le crisi di singole banche prossime all’insolvenza.

Magari l’euro si riprenderà presto dalla scivolata degli ultimi mesi ma, se non rilanciamo almeno l’unione bancaria, non farà mai grande strada nel mondo e nei suoi portafogli finanziari.

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