Ci sono momenti nella storia di un paese in cui si misura il fallimento di una intera classe dirigente. La gestione di questo Natale indica la confusione totale di fronte a un problema che ormai conosciamo in quasi tutti i suoi dettagli.

Regole arbitrarie, impossibili da capire, difficili da rispettare anche per i più disciplinati, imposte con una discrezionalità offensiva: quando i giornalisti chiedono conto di quali valutazioni abbiano portato il governo a cambiare idea tre volte in un mese sulla gestione del periodo più pericoloso per la diffusione del contagio, il premier Giuseppe Conte risponde che in certi momenti «la politica dismette il proprio ruolo e affida la risposta alla scienza». La scienza offre numeri, ipotesi e analisi e poi lascia alla politica il compito e la responsabilità di decidere, ma la politica non dismette mai il proprio ruolo. E questo gli scienziati dovrebbero ribadirlo con vigore.

Il parlamento ottiene che il governo presenti in parlamento i Dpcm prima di adottarli? Alla prima occasione il governo invece che un Dpcm sul Natale adotta un decreto legge, così deputati e senatori potranno discutere con l’esecutivo le regole per le feste intorno alla metà di febbraio. Utile.

Questa gestione disastrosa e umiliante, per il paese, per noi cittadini, per la classe dirigente stessa, continua a trovare avvocati d’ufficio: i giornali adeguano narrazione, domande e anticipazioni alle esigenze della comunicazione di palazzo Chigi o dei potentati locali, associazioni di categoria, esperti di ogni disciplina e intellettuali pubblici oscillano tra il desiderio di partecipare al chiacchiericcio generale che ha degradato i virologi in opinionisti e l’assoluzione a prescindere. Il virus non è forse un problema globale? C’è qualcuno che ha fatto tutto giusto?

La riposta corta sarebbe: sì, c’è. La Corea del Sud ha riportato l’epidemia sotto controllo da mesi, la Germania ha un terzo delle nostre vittime, il Giappone ha più anziani dell’Italia ma soltanto 2.700 morti su 127 milioni di persone. E la lista continua. Noi continuiamo a sbagliare, con restrizioni tardive, assenza di tracciamento dei contagi, mancanza di una strategia sulle scuole, senza neppure l’onestà del re della Svezia che ha dichiarato pubblicamente il fallimento della strategia minimalista adottata dal paese.

Si percepiva un inquietante sollievo nelle parole di Conte, l’altra sera, quando ricordava che anche Gran Bretagna e Francia hanno superato la soglia dei 60mila morti: non siamo più soli. I morti non sono tutti prodotto di una tragica fatalità, ma del modo in cui una intera comunità nazionale ha reagito all’imprevisto. E forse è per questo che sono scomparsi dalla discussione, in questo assurdo pasticcio di Natale non c’è stata una sola parola per le famiglie che non compreranno regali o non hanno il problema di organizzare pranzi affollati perché i loro cari sono stati soffocati dal Covid.

Per quanto ci sforziamo di rimuoverli e dimenticarli, alimentando un macabro consumismo con i 4,7 miliardi pubblici che costa il bonus cashback, questo resta un Natale tragico per il paese.

Un giorno gli psicologi studieranno questo processo di rimozione collettiva, la cancellazione della più grande tragedia della storia nazionale dopo le guerre, che ha meno tempo nei telegiornali e nei talk del dilemma se si possa fare jogging a Santo Stefano nonostante la zona rossa.

 Il fatto che quei morti siano assenti anche dai pensieri della classe dirigente, politica e non, che sta gestendo la fase natalizia e impostando l’attesa ricostruzione alimentata dal piano Next Generation Eu è una certificazione di inadeguatezza più seria di ogni pasticcio burocratico.

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