Ma siamo proprio sicuri che per la crescita e il debito pubblico faccia una grande differenza un Mario Draghi al Quirinale, presidente del Consiglio o ritirato per il disgusto della politica? Ho i miei dubbi: i problemi dell’Italia sempre quelli e i nodi prima o poi verranno al pettine. Probabilmente cambierebbero solo i tempi.

I problemi strutturali dell’Italia sono due: instabilità politica e stagnazione della produttività. L’instabilità politica, con la conseguente ricerca del consenso da parte di chi è temporaneamente al governo, alimenta la spesa pubblica.

Regolarmente arriva la minaccia di una crisi e in qualche modo ci viene imposto il risanamento dei conti, per poi ripartire con un altro giro di giostra. Non è così solo da quando c’è l’euro, il Patto di Stabilità e la sorveglianza della Commissione; prima c’erano le crisi valutarie, come quella del prelievo forzoso sui depositi del 1992.

Non sono un politologo, ma capisco che il nostro è un sistema parlamentare pensato per funzionare con i partiti e parlamentari espressione dei collegi che li eleggono. Ma i partiti, almeno come li conosceva chi ha scritto la Costituzione, non esistono più e i parlamentari sono oggi nominati più che eletti: una garanzia di instabilità politica e della conseguente spesa pubblica clientelare.

A prescindere dal futuro di Draghi. Anzi, a giudicare dall’assalto alla diligenza dell’ultima Legge di Bilancio per accaparrarsi bonus e sussidi non mi sembra che questo governo si sia discostato dalle pratiche del passato.

L’illusione che la Bce stamperà moneta ad oltranza per comprare il nostro debito è, appunto, un’illusione: i mercati non credono più che l’inflazione sia temporanea, anche se rallenterà rispetto al picco odierno, spingendo al rialzo i titoli di stato in tutto il mondo. E per la prima volta dopo tre anni il rendimento dei Bund tedeschi a 10 anni non è più negativo. La necessità di attenuare l’impatto della pandemia, inoltre, prima o poi finirà.

Il secondo problema è la crescita della produttività, l’unico vero modo per migliorare le prospettive economiche e attuare una redistribuzione che non sia un gioco a somma zero. I fondi del Pnrr servirebbero a questo: il condizionale è d’obbligo.

Gli interventi finanziati dal Pnrr sono a tutti gli effetti normali investimenti pubblici, e non è automatico che questi aumentino sempre la crescita della produttività a lungo termine, al di là dell’effetto temporaneo. Inoltre, la loro efficacia, anche ammettendo che si superi tutte le verifiche della Commissione, dipenderà dalle riforme che sono richieste dal pano. Ma non basta vararle con leggi e decreti: bisogna poi attuarle, e non è scontato che risultino efficaci all’atto pratico.

E’ pensabile che un anno in più o in meno di Draghi al governo renderà la giustizia più celere, la burocrazia efficiente, gli enti locali capaci di fare capitolati e gare, la pubblica amministrazione di completare le opere nei tempi stabiliti e il sistema educativo di sfornare le professionalità necessarie? Ho una stima profonda della persona, ma rimango scettico.

Le regole del contesto internazionale in cui è inserita l’Italia sono molto elastiche, e l’umore dei mercati effimero. L’indiscussa credibilità di Draghi, che sia a capo del Governo o dello Stato, può aiutare ad allungare l’elastico e influenzare gli umori. Ma i nodi prima o poi verranno al pettine e qualsiasi elastico non si può allungare più di tanto. Passata la misura, inevitabilmente si spezza.

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