Sulle lezioni da trarre da questo referendum si rifletterà molto. Ma il dato più inequivocabile è l’affiorare evidente di un, forse mai sopito, leghismo di sinistra fra le fila di chi ha votato e in percentuali massicce ha detto no a concedere a persone che vivono e lavorano con noi un tempo ragionevole per accedere ai benefici della maggioranza.

Questo dato impartisce tre lezioni. Innanzitutto, la fusione fra differenti battaglie non attecchisce. Questo referendum decreta il fallimento di fatto della politica intersezionale che unisce istanze diverse entro un unico fronte.

Si può essere a favore di maggiori protezioni per i lavoratori, per garantire stabilità alle vite e preservare l’eguaglianza, ma poi l’eguaglianza vale solo per gli italiani e non la si vuole estendere a chi non ha ancora la cittadinanza.

Una parte degli elettori di sinistra vive in una fattoria orwelliana degli animali, in cui certi lavoratori sono più eguali degli altri. La coerenza del disegno referendario – maggiore sicurezza delle aspettative di vita, di lavoro, di stabilità – si è scontrata con l’incoerenza delle menti e dei cuori di una parte del popolo della sinistra.

Il sospetto che questa parte sia costituita soprattutto dall’innesto Cinque stelle non può non venire, data l’ostilità passata del Movimento a politiche migratorie progressiste. Ma questa parte del popolo della sinistra esiste e se ne dovrebbe tener conto. Sono loro i migliori che abbiamo, per certi versi.

La narrazione della destra

La seconda lezione si connette alla prima. La sinistra non ha saputo contrastare con efficacia la narrazione di destra. Concedere la possibilità di richiedere la cittadinanza dopo cinque anni di permanenza legale sul nostro territorio è una misura di equità e civiltà ovvia.

In cinque anni si sviluppano relazioni affettive con persone e luoghi, in cinque anni un lavoratore da un contributo cospicuo all’economia, cinque anni sono più che sufficienti per imparare una lingua e per capire se si aderisce ai valori di una Costituzione.

Diamo la cittadinanza e i diritti che le sono connessi ai bambini appena nati, perché figli di italiani e italiane, secondo una logica ancestrale in cui elementi solo biologici determinano diritti politici, con un ragionamento tipicamente ed evidentemente razzista.

Ma non vogliamo darla a chi ha scelto di lavorare e vivere con noi. Dare la cittadinanza a chi è già qui legalmente, peraltro, non aumenterà l’immigrazione in entrata, per ragioni ovvie. Perché comunque questo provvedimento si rivolge a chi ha già scelto di rimanere in Italia, e la maggior parte dei migranti passano soltanto nel nostro paese. Perché si trattava solo di dare la possibilità di fare domanda, accedendo a un iter che può durare anni.

Era questione di dare una possibilità concreta di essere cittadini e non meteci. Anche così il tempo che ci sarebbe voluto era così lungo che non avrebbe certo rappresentato una differenza cospicua nelle prospettive di un migrante. Tutto questo la sinistra e i promotori del referendum non l’hanno saputo comunicare. La lezione è questa: un cospicuo fallimento comunicativo.

Lo strumento referendario

La terza lezione riguarda, come detto all’inizio, lo strumento usato per la battaglia. Il referendum si è mostrato, e si era mostrato in precedenza, un mezzo forse troppo grossolano, forse troppo sottile. La confusione fra le conseguenze del no e quelle del mancato quorum, la polarizzazione necessaria, l’altezza della soglia richiesta per raggiungere il quorum in tempi di astensionismo, la frantumazione del fronte – i distinguo di certe porzioni del presunto campo largo, i contorsionismi e la tormentata riflessione del Pd post-renziano, con Matteo Renzi convitato di pietra: tutto questo si è aggiunto a rendere ancora più difficile il traguardo.

E, soprattutto, non si vede perché istanze del genere non trovino spazio, non dico solo, ma anche e soprattutto nella dialettica parlamentare e nella vita della società civile. I referendum furono lo strumento di un partito anomalo, leggero, avanguardista, d’opinione, come il Partito radicale. Servirono, talvolta, fallirono altre volte. Ma non possono essere lo strumento unico quando la via della politica parlamentare e della politica che si fa casa per casa sembra impervia.

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