I referendum su giustizia, cannabis ed eutanasia promettono di mettere sotto tensione i rapporti tra e dentro i partiti ben più delle elezioni amministrative. La nuova modalità di raccolta delle firme, nel frattempo, ha già prodotto un cambiamento istituzionale a costituzione invariata.

Molti commentatori autorevoli hanno considerano la possibilità di usare la firma elettronica garantita da Spid una innovazione tecnica che “aggiorna” la procedura mettendola in linea con i tempi.

Altri suggeriscono una riscrittura del testo costituzionale par aumentare il numero delle firme richieste. Ma la sottoscrizione telematica (per me, sacrosanta) ha cambiato l’istituto referendario più di quanto possa fare una modifica della costituzione.

L’origine 

I costituenti fissarono una soglia di accesso impossibile da raggiungere (con i tassi di istruzione e con i mezzi comunicazione di allora) per organizzazioni esterne ai partiti di massa.

Le cose cominciarono a cambiare negli anni Settanta. Molte delle proposte avanzate negli ultimi decenni, compresa quella approvata dal parlamento e sottoposta a referendum confermativo nel 2016, prevedono un innalzamento del numero delle sottoscrizioni da 500.000 a 800.000.

La firma digitale-telematica abbatte i costi organizzativi e quindi la soglia di ingresso effettiva in una misura esponenziale rispetto alle intenzioni dei costituenti e decisamente superiore rispetto ai cambiamenti del testo costituzionali che già venivano proposti per bilanciare la maggiore facilità di raccogliere le sottoscrizioni su carta.

Diciamo che oggi la soglia di ingresso non c’è più, per qualsiasi quesito che appassioni almeno il 10 per cento dell’elettorato.

La questione del quorum

Rimane tuttavia un secondo ostacolo, come è noto, nel caso dei referendum abrogativi di leggi ordinarie: raggiungere il quorum. Lo spartiacque è in questo caso rappresentato dal passaggio tra prima e seconda repubblica. Dal 1974 al 2016 ci sono state 17 tornate referendarie (8 fino al 1993, 9 dopo) e sono stati messi in votazione 67 quesiti (26 fino al 1993, 41 dopo). Fino al 1993 l’affluenza è stata in media del 71 per cento, dopo del 40 per cento.

Fino al 1993 il quorum è mancato una sola volta (nel 1990), dopo è stato raggiunto solo in due casi (nel 1995 e nel 2011), con una partecipazione solo di qualche punto percentuale superiore alla soglia richiesta. Si sa perché questo è accaduto.

I contrari a uno specifico quesito hanno cominciato a capire che è più facile battere i promotori sommando il proprio “astensionismo strategico” con l’astensionismo “naturale” di una fetta crescente dell’elettorato, che nel caso dei referendum si può ormai stimare a non meno del 35 per cento.

In pratica, con il 18 per cento di astensionisti “per scelta” si può contrastare una armata del 48 per cento di elettori favorevoli che vanno a votare.

Un modo per attenuare questo rischio esiste e la facilità di raccogliere le firme, a costi organizzativi ridotti, rende più probabile che si verifichi, anche senza una strategia preordinata.

Astensionismo strategico

È più facile contrastare con l’astensionismo strategico quesiti referendari che chiamano al voto una sola nicchia (più o meno grande di elettori). È molto più difficile quando i quesiti proposti nella stessa tornata richiamano platee diverse che finiranno in larga misura per sommarsi contribuendo a tenere alto il quorum di tutti i quesiti.

Se saranno ammessi quelli relativi a cannabis, eutanasia, giustizia, ciascuno di questi temi richiamerà al voto una platea abbastanza diversa per età e orientamenti politici.

Da sola, ciascuna di queste platee potrebbe essere forse sconfitta con l’astensionismo strategico, facendo passare sotto silenzio e sotto tono la campagna referendaria.

Se si sommano, l’astensionismo strategico diventa troppo rischioso e quindi i contrari saranno indotti a partecipare, e i leader messi sotto pressione perché prendano posizione su questioni che dividono trasversalmente il loro elettorato.

La riforma costituzionale a costituzione invariata della sottoscrizione elettronica potrebbe far scomparire l’opzione confortevole di defilarsi e ciascun leader di partito avrà i suoi problemi.

D’altro canto, se per effetto di questa catena di conseguenze, la partecipazione dovesse salire parecchio, anche i promotori dei referendum potrebbero subire un contraccolpo.

Fino a che il raggiungimento del quorum è garantito principalmente dai sostenitori di uno specifico obiettivo, e da pochi altri, la vittoria è assicurata. Se l’elettorato cresce, includendo contrari, disinteressati e dubbiosi (pensiamo ad esempio a cannabis ed eutanasia) diventa più probabile che vinca lo status quo.

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