Tutto è bene ciò che finisce bene, e il 23 dicembre - con la firma dell’ordinanza dei ministri degli Esteri, dei Trasporti e della Salute – si è messo un punto fermo all’odissea di molti italiani che erano rimasti bloccati a Londra per la soppressione dei voli diretti in Italia.

La “variante inglese” e Speranza

Alla conferma della “variante inglese” del virus, il Ministro della Salute - con ordinanza del 20 dicembre - aveva interdetto il traffico aereo dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord, vietando l'ingresso e il transito in Italia alle persone che nei quattordici giorni antecedenti all’ordinanza stessa avessero soggiornato o transitato in tali Paesi.

Così, da un momento all’altro, mentre erano in aeroporto, migliaia di persone in procinto di rientrare per le vacanze natalizie, dopo aver assolto all’obbligo di tampone nelle 48 ore antecedenti alla data prevista di ingresso, erano rimaste a terra, sprovviste di qualunque tipo di assistenza da parte delle autorità italiane.

Il consolato a Londra non rispondeva a mail e telefonate con cui connazionali chiedevano informazioni e, soprattutto, di partire.

Tra i viaggiatori in aeroporto, tante le situazioni particolari: da chi non disponeva di denaro per pagare l'hotel a chi aveva problemi di salute a chi rientrava a conclusione di un’esperienza di studio o lavoro.

Nella giornata del 23 dicembre si è arrivati a una soluzione. Ai sensi della nuova ordinanza, può rientrare chi è residente in Italia o si trova in condizioni di assoluta necessità.

C’è l’obbligo di doppio tampone, prima e dopo il viaggio, per verificare la negatività al virus, e in ogni caso 14 giorni di quarantena. E così dal 24 dicembre sono iniziati i primi rientri, ma proseguono le polemiche.

Il diritto di rientrare in patria

La pandemia non è finita e quanto accaduto potrebbe ripresentarsi. È legittimo impedire l’ingresso in patria da luoghi ove vi sia una criticità, come da ultimo a Londra, a fini di cautela per la salute?

Il diritto di rientrare in patria è sancito in diversi atti internazionali in tema di diritti umani. Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 13) si afferma che «Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese».

Il Patto sui diritti civili e politici stabilisce che «nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio Paese» (art. 12), e così pure la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (art. 5) e il Protocollo 4 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 3, c. 2).

Già a marzo la Commissione europea aveva affermato che, anche in caso di restrizioni, «gli Stati membri devono sempre consentire l'ingresso dei propri cittadini, dei cittadini dell'Ue o dei cittadini di paesi terzi che risiedono regolarmente sul loro territorio», pur adottando le misure opportune per proteggere la salute.

La Commissione l’ha ribadito il 22 dicembre, raccomandando agli Stati di esentare queste categorie di cittadini «da ulteriori restrizioni temporanee a condizione che siano sottoposti a un test o quarantena».

Dunque, i cittadini italiani abbandonati a se stessi per giorni, dopo l’ordinanza del ministro della Salute, senza che le autorità del proprio Paese si ponessero alcun problema circa la loro sorte, non sono solo immagini che scorrono ai telegiornali, ma titolari di diritti.

E se non si parte?

Se non si riesce a partire a causa di provvedimenti dell’autorità per motivi collegati all’emergenza sanitaria, cosa accade riguardo ai biglietti dei voli cancellati? In quest’ipotesi, ricorrono gli estremi dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione che, ai sensi del codice civile (art. 1463), determina la risoluzione del contratto, con obbligo di restituire l’importo del biglietto o un buono di pari importo, previa espressa accettazione.

Fino a qualche mese fa la disciplina era diversa.

La scorsa primavera, una norma del decreto Cura Italia (d.l. 18/2020) stabilì che, fino al 30 settembre 2020, nei casi di viaggi cancellati per motivi connessi all’emergenza da Covid-19, il rimborso potesse avvenire con un voucher valido per un anno. Ma la disposizione, finalizzata ad attenuare l’impatto della crisi di liquidità degli operatori turistici, era in contrasto con la normativa europea (Reg. CE 261/2004) che prevede il rimborso entro sette giorni e il voucher come opzione, non come imposizione.

A maggio la Commissione raccomandò che i buoni fossero offerti solo come alternativa al rimborso (raccomandazione 2020/648). E l’Italia fu sottoposta a procedura di infrazione.

A luglio, con la legge di conversione del decreto Rilancio, il governo ha esteso la durata di utilizzo dei voucher da 12 a 18 mesi, obbligando al rimborso in contanti nel caso di mancato utilizzo alla scadenza.

La procedura d’infrazione è stata revocata a ottobre. Oggi si ha di nuovo diritto al rimborso del prezzo in contanti, mentre l’eventuale offerta alternativa del voucher deve essere accettata in via espressa.

Eppure, si ha notizia di compagnie aeree che negano il rimborso o propongono solo voucher, per viaggi cancellati a causa di provvedimenti dell’autorità. Si tratta di una condotta che viola le regole vigenti.

Il 6 novembre ciò è stato ribadito dall’Enac, Ente nazionale per l'aviazione civile, in una lettera alle compagnie aeree che operano voli da e per il territorio italiano, in merito al rispetto dei diritti dei passeggeri che non possono usufruire dei biglietti aerei già acquistati a causa delle nuove misure per l'emergenza Covid-19 disposte dal Governo.

Insomma, se non si parte, almeno ci sono le basi giuridiche per far valere i propri diritti.

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