«Le riforme devono considerarsi, allo stesso tempo, parte integrante dei piani nazionali e catalizzatori della loro attuazione», afferma il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), e quella della pubblica amministrazione (Pa) riveste un’importanza particolare. Uno degli assi di tale riforma è intitolato alla “Buona amministrazione” e contiene una serie di interventi finalizzati a «eliminare i vincoli burocratici, rendere più efficace ed efficiente l’azione amministrativa, e ridurre tempi e costi per cittadini e imprese».

Ambiti della semplificazione

La buona amministrazione è connessa alla semplificazione normativa. Nel piano si spiega che la pubblica amministrazione gestisce «norme e procedure estremamente articolate e complesse», «stratificate nel tempo in maniera poco coordinata e spesso conflittuale su diversi livelli amministrativi (nazionale, regionale e locale)». E da norme complicate, affastellate e poco coerenti, scaturiscono procedure farraginose, che ostacolano l’attività dei privati e della stessa Pa. Tutto ciò negli anni ha concorso alla «perdita della capacità di implementare gli investimenti, sia pubblici sia privati».

Insomma, la parola d’ordine è “semplificazione”, e il Pnrr la persegue in specifici settori: appalti pubblici e concessioni, per una «efficiente realizzazione delle infrastrutture e per il rilancio dell’attività edilizia»; procedimenti in materia ambientale, con particolare riguardo alla valutazione di impatto ambientale; edilizia e urbanistica; interventi nel Mezzogiorno, per la coesione sociale e territoriale; abrogazione e modifica di norme anti-corruzione, in tema sia di controlli sia di oneri imposti alla Pa. Sono àmbiti che da tempo necessitano di revisione. Ma mentre in materia di appalti o trasparenza amministrativa il Pnrr offre indicazioni abbastanza precise, non è così per altre riforme.

La digitalizzazione

La semplificazione normativa è il presupposto di un altro asse della riforma della Pa: la digitalizzazione delle procedure «collegate all’attuazione del Pnrr». Perché se tale digitalizzazione non fosse preceduta da interventi su norme stratificate e confuse, che prevedono adempimenti sovrapposti e superflui, si digitalizzerebbe la burocrazia esistente. Il piano prevede la «reingegnerizzazione in digitale e semplificazione di un set di 200 procedure», per poi arrivare ad almeno 600. Per fare ciò «è creata una task force temporanea (tre anni) di circa mille professionisti», i quali al contempo supporteranno le «amministrazioni del territorio (uffici regionali, amministrazioni comunali e provinciali) in cui si concentrano i colli di bottiglia». La digitalizzazione dovrebbe finalmente realizzare anche il principio “once-only” – cioè il divieto per la pubblica amministrazione di chiedere ai cittadini documenti dei quali gli uffici pubblici siano già in possesso – sancito da qualche decennio, e in concreto mai realizzato.

L’obiettivo è ambizioso. In tempi relativamente brevi – il cronoprogramma è indicato nel Pnrr – dovrà agirsi su più piani integrati (norme, procedure, digitale), e questa è la vera sfida. A tale fine, serviranno idonei controlli non solo per verificare l’implementazione delle riforme che, come detto, costituiscono condizione essenziale per realizzare i progetti di investimento, ma anche per accertare che esse abbiano prodotto i risultati attesi, in termini di riduzione degli oneri “burocratici”. Si confida nell’azione della cabina di regia presso la presidenza del Consiglio, che ha il compito «di monitorare l’efficacia delle iniziative di potenziamento della capacità amministrativa» e «di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità».

La generale semplificazione

Oltre alla semplificazione per settori, il Pnrr richiama la necessità trasversale di «attenzione continuativa all’obiettivo di semplificazione», per il «miglioramento dell’efficacia e della qualità della regolazione» in generale. A questo fine, il piano enumera una serie di misure che esistono da anni in Italia, ma sono poco e male utilizzate. Tra queste, l’analisi e la verifica di impatto della regolazione, la «programmazione delle iniziative normative del Governo», «il ricorso alla consultazione» degli interessati, la «riduzione del gold plating» (livelli di regolazione superiori a quelli necessari per l’attuazione delle direttive dell’Unione europea).

Il piano sottolinea, inoltre, la necessità di «chiarezza, comprensibilità e accessibilità della normazione». Anche questa necessità non è una cosa nuova. Dal 2001 una circolare del presidente della Camera (analoga a circolari del presidente del Senato e del presidente del Consiglio) detta regole sulla formulazione dei testi legislativi – dal divieto dei verbi servili a quello della doppia negazione o dell’uso di termini stranieri – ma viene puntualmente disattesa.

Dunque, diverse misure già presenti nell’ordinamento, ora citate dal Pnrr, dovrebbero rimediare a quanto finora non sono state idonee a evitare. In un paese dove non esiste una “cultura” della cosiddetta better regulation, nonostante vi siano da tempo gli strumenti per realizzarla, come detto, il piano dovrebbe indurre una sorta di rivoluzione, regolatoria e non solo, e rendere virtuosi i decisori.

Gli ostacoli alla semplificazione

Per valutare i rischi nell’attuazione del programma di semplificazione, serve leggere il documento conclusivo dell’«Indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa» della Commissione parlamentare per la semplificazione (marzo 2014). Il documento fotografa un paese avviluppato «in una miriade di lacci e lacciuoli, rappresentati da leggi nazionali e regionali, normative europee recepite sempre parzialmente e sempre in ritardo dal parlamento, e provvedimenti amministrativi di varia natura, origine e portata».

Il primo rischio nella formulazione delle riforme è «la tendenza della normativa sulla semplificazione a soffrire della stessa ipertrofia dalla quale è affetta la produzione normativa nel suo complesso». Insomma, si emanano nuove disposizioni per eliminarne altre, lasciando così pressoché invariato il numero di norme esistenti. Inoltre, per semplificare, occorre sciogliere «a uno a uno» non solo i nodi regolatori, ma anche i «grumi di interessi che spesso si celano dietro la complicazione». E questo è il secondo rischio che corrono iniziative di semplificazione: i “grumi di interessi”, sintetizzati nell’espressione «la corruzione, la stupidità e gli interessi costituiti», usata da Mario Draghi nel discorso con cui ha presentato il Pnrr in parlamento.

Un’ulteriore insidia, rilevata dalla citata Commissione, è la dispersione della legislazione «in numerosissimi provvedimenti» a contenuto multisettoriale e ciò, sommato alla stratificazione normativa, rende difficile «ricostruire il quadro normativo vigente nei singoli settori». Il Pnrr in materia fiscale, auspica «un’opera di raccolta e razionalizzazione» da far «confluire in un unico Codice tributario», al fine di «favorire la semplificazione del sistema e l’attuazione della certezza del diritto». Per altri ambiti settoriali, invece, manca un’analoga indicazione. Potrebbe essere un’occasione persa.

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