La seconda vita di Giuseppe Conte a palazzo Chigi ha impresso alla premiership uno stile di direzione e una postura più equilibrate non solo rispetto al suo gemello orientato a destra, ma anche rispetto ad altri più navigati politici della seconda repubblica.

Il curriculum extra-politico (certamente rispettabile e comunque più solido di qualsiasi altro componente del governo o della maggioranza), il rapporto con il Quirinale, il minor peso dei capi-partito e l’assenza di una loro specifica agenda, l’allargamento del network dei suoi fiduciari negli alti ranghi dell’amministrazione e, soprattutto, la domanda di rassicurazione dell’opinione pubblica interna prodotta dalla pandemia insieme alla percezione di avere trovato un interlocutore affidabile dei partner europei, lo hanno aiutato ad emergere come primus inter pares se non un primo tra ineguali dentro l’esecutivo.

Proprio perché era inimmaginabile al momento in cui entrò per la prima volta in carica, sarà un caso da studiare.

 Anche grazie al gioco al ribasso nella qualità media della classe politica, almeno nell’anno finora più duro della crisi, è apparso un presidente del Consiglio capace di decidere senza azzerare il ruolo della squadra ministeriale, benvisto anche perché senza un partito e quindi apparentemente dedicato al solo bene comune. Comunque vada a finire il duello rusticano con Renzi, difficilmente l’equilibrio rimarrà tale

. Avremo un Conte in esilio, un Conte dimezzato o un Conte lancia in resta, pronto a misurare il valore del suo stemma alle prossime elezioni.

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