Come riportato dal Times of Israel del 29 settembre scorso, l’ex parlamentare israeliano di origini ucraine Roman Bronfman, autore di un libro ancora in fieri sulla storia degli ebrei post sovietici, ha sottolineato il ritorno di una sempre crescente retorica antisemita in Russia. Elemento inedito per la leadership putiniana che, piuttosto, si era distinta per mettere un freno all’endemico antigiudaismo di quelle zone, oltre a mantenere ottimi rapporti con lo stato ebraico, dove vivono, è bene ricordarlo, circa un milione di russi.

Gli episodi

Gli episodi sono ormai troppi per essere ignorati. Bronfman ne elenca alcuni recenti: la lista di ebrei eccellenti stilata dal giornalista Dmitry Popov sulle colonne del quotidiano Moskovskij Komsomolets, con l’accusa di essere «agenti stranieri». Articolo che ha suscitato le ire dell’ex collega di origini ebraiche Yulia Kalinina che ha replicato sul sito Novi Izvestiya, sottolineando, a dimostrazione di un imperituro antisemitismo che ha innervato la storia del paese, come i russi abbiano regalato al mondo sì la parola vodka, ma anche pogrom.

Secondo episodio inquietante, la propaganda nei confronti del noto filosofo francese Bernard Henry-Levy, da sempre sostenitore della causa ucraina, a cui ha dedicato di recente il docufilm Pourquoi l’Ukraine? e una serie di reportage per Paris match. A questi ricordati da Bronfman bisogna aggiungere la stretta di Mosca del 6 luglio contro l’Agenzia ebraica russa, dedita da sempre ad organizzare il trasferimento degli ebrei del paese che richiedono l’alyah (la «risalita» verso la terra di Israele in conformità alla legge del ritorno), seguita ad un ampliamento della definizione di «agenti stranieri», e la fuga verso Gerusalemme del rabbino capo di Mosca Pinchas Goldschmidt, anche al vertice della conferenza dei rabbini europei.

In fuga dalla Russia

Poco dopo il suo arrivo nella nuova patria, Goldschmidt ha apertamente denunciato il clima critico nei confronti degli ebrei che si respira nell’attuale Russia, sottolineando anche le pressioni ricevute da lui stesso e dalla sua famiglia per esplicitare il proprio appoggio all’«operazione speciale», così come fatto da altre autorità religiose del paese.

Problematico, però, per un’autorità ebraica accusare di nazismo un paese con un presidente ebreo come è l’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Il percorso intrapreso da Rav Goldschmidt non è stato solitario.

Dall’inizio del conflitto sono emigrati in Israele circa 20mila ebrei, il 15 per cento dell’intera popolazione ebraica, a testimonianza, certamente dello sfruttamento di una concreta alternativa di vita rispetto ad uno stato il cui futuro non appare roseo, ma anche delle crescente paura del ritorno di pulsioni mai definitivamente sopite.

Antisemitismo e nazionalismo

Come abbiamo tentato di mostrare già settimane fa su queste stesse pagine, la crescita dell’antisemitismo russo viaggia in parallelo alla svolta nazionalista impressa da Putin al paese dopo il fallimento della cosiddetta guerra di liberazione di inizio conflitto.

Nella sindrome d’assedio in cui il leader ha rinchiuso la Confederazione, l’ebreo è tornato a incarnare il paradigma dell’infiltrato al soldo dell’occidente, l’internazionalista, il traditore della patria. Immagine ulteriormente rafforzata dalla «fuga» in altri paesi di personaggi notissimi come Roman Abramovich, Viktor Vekselberg e Mikhail Friedman, tutti oligarchi di origine ebraica.

La propaganda paranoica

Una propaganda paranoica ben sperimentata nella Russia di tutte le epoche, che, in epoca staliniana, culminò nell’abominio del processo dei medici interrotto solo dalla morte del dittatore. 

Propaganda che vediamo ben presente in un discorso di Putin di fine settembre in cui chiama alla resistenza nei confronti del processo di colonizzazione dell’occidente, onde evitare per la Russia una sorte analoga all’Africa e a molti paesi asiatici.

Una volta di più l’antisemitismo si dimostra spia di processi assai più ampi: al livello di retorica antiebraica corrisponde il grado di quella chiusura nazionalistica che indica nell’occidente il primo nemico. I nostri incubi nucleari dipendono anche da questo.

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