In occasione del trentesimo anniversario del golpe del 19 agosto in Unione sovietica, l’istituto di ricerca indipendente Levada Center ha pubblicato i risultati di un’inchiesta sociologica che dimostra quanto siano ancora impresse nella memoria collettiva le drammatiche immagini di quei giorni.

Il 43 per cento degli intervistati giudica tragici gli episodi del 1991 con «conseguenze fatali per il paese e per il popolo» e il 40 per cento, invece, li considera una mera lotta per il potere. Come accade spesso in molti sondaggi russi, la “questione generazionale” meglio discrimina la valutazione degli intervistati sul tema. Il 46 per cento tra gli over 40 ritiene che il tentativo di golpe sia stato un evento funesto per il paese, il 42 per cento tra i 25 e i 39 anni sostiene che si tratti di un conflitto tra le varie fazioni mentre il 20 per cento di coloro che hanno tra i 18 e 24 anni pensa che rappresenti «la vittoria di una rivoluzione democratica». Altro aspetto rilevante di questa ricerca è che ben il 66 per cento del campione intervistato afferma che nessuno degli attori coinvolti nel golpe avesse ragione: solo il 10 per cento degli intervistati, prevalentemente tra i giovani, è a favore dei democratici eltsiniani, il 13 per cento sostiene i golpisti e l’11 per cento ha difficoltà a rispondere. Il 75 per cento dei rispondenti è a conoscenza degli avvenimenti del 19 agosto attraverso il cinema e la televisione (38 per cento), la presenza agli eventi (18 per cento), i parenti e i conoscenti (13 per cento), la scuola (11 per cento) e Internet (9 per cento).

Il rapporto evidenzia, quindi, un orientamento dei giovani verso il concetto di rivoluzione e il fatto che, rispetto ai sondaggi degli anni precedenti, è aumentata la percentuale di coloro che imputano al golpe la distruzione dell’Urss. Oltre il 67 per cento dei rispondenti si rammarica del crollo dell’Unione e il 76 per cento attribuisce caratteristiche positive al periodo sovietico in sintonia con altre rilevazioni che descrivono una nostalgia per il passato sia nella leadership.

La storiografia internazionale sostiene che gli avvenimenti dell’agosto 1991 (l’isolamento di Gorbaciov nella dacia in Crimea, il Comitato di emergenza che ha avviato il golpe, il presidente russo Boris Eltsin sul carro armato) abbiano impresso una forte accelerazione al crollo del sistema sovietico, avvenuto, inaspettatamente per molti analisti, quattro mesi più tardi. Solo qualche mese prima, nel marzo 1991, ben il 71 per cento della popolazione si era espressa a favore di una nuova Unione delle repubbliche socialiste sovietiche sovrane a cui non avevano aderito le tre repubbliche baltiche.

In occidente le interpretazioni più accreditate sulla caduta dell’Urss attribuiscono una particolare rilevanza alle dinamiche interne di natura economico-militare e al ruolo cruciale della diplomazia statunitense e del presidente Ronald Reagan. Di parere contrario è il sovietologo Archie Brown che considera il “fattore Gorbaciov” e l’insieme delle riforme strutturali avviate con la Perestrojka tra le principali cause della dissoluzione dell’Urss.

E proprio dalle pagine della rivista Russia in Global Affairs, l’ex presidente, il novantenne Gorbaciov, è tornato a parlare in questi giorni delle lezioni che la Perestrojka, ancora oggi, può rappresentare per la Russia e per il mondo. Consapevole che il significato e l’eredità storica della Perestrojka e della Glasnost’, il protagonista di questo “nuovo pensiero” ribadisce che nonostante le «illusioni e gli errori commessi”» la Perestrojka era «una giusta causa». Nella sua lunga relazione Gorbaciov si difende, ancora una volta, dalle accuse di aver tradito il socialismo per ingenuità e per l’assenza di un chiaro piano di attuazione delle riforme, sostenendo che gli oppositori non avevano compreso «l’atmosfera psicologica e morale che dominava la società sovietica» alla fine degli anni Ottanta.

Il popolo voleva il cambiamento e la giusta direzione era «l’emancipazione dell’essere umano», artefice del proprio destino attraverso «un’energia creativa che il popolo sovietico poteva esprimere con una maggiore libertà». Gorbaciov ammette di essersi fidato di alcuni colleghi di partito che si professavano favorevoli alla democrazia, ma alle sue spalle si adoperavano per tradirlo, «sacrificando la nuova Unione per il desiderio di governare al Cremlino (…), indebolendo la posizione del presidente dell’Unione Sovietica«, e avviando «la disgregazione dell’Urss».

Tra gli errori di quel periodo Gorbaciov annovera il ritardo delle riforme economiche, del partito e del decentramento e l’ostilità/ottusità di una parte dell’élite. Infine, Gorbaciov dedica la parte conclusiva della sua memoria storica ad una critica nei confronti dell’establishment americano che ha presentato la fine della Guerra fredda e il crollo dell’Urss come una vittoria dell’occidente all’opinione pubblica: «Era una vittoria di entrambi, il trionfalismo produce brutti consigli e se non ci fosse stato questo fraintendimento probabilmente sarebbero cambiate anche le fondamenta della nuova politica internazionale». Alla vigilia del crollo dell’impero le parole di Gorbaciov e le analisi del Levada Center dimostrano, ancora una volta, che nella Russia di Putin il passato non passa.

 

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