Ogni società democratica vive un perenne conflitto fra le opposte esigenze di ordine e libertà. Da noi prevale spesso, soprattutto nelle coste scempiate dall'edilizia, più l'illegalità che la libertà. È vero che molte opere pubbliche sono state bocciate dal No delle Soprintendenze su archeologia, belle arti e paesaggio; spesso doveroso in un paese col nostro patrimonio, ma a volte frutto di riflessi condizionati avversi a ogni novità. C'è anche il timore di chi potrebbe finire, mettendo una firma, alla Corte dei Conti.

Il Next Generation Eu (Ngeu) ribalta il contesto; una gran fetta di quei denari va spesa, in tempi brevi, per affrontare la crisi climatica. Ciò fa anche pensare di ridurre le garanzie del Codice degli Appalti.

Il grosso andrà al solare e all'eolico, implicanti grande consumo di suolo e possibili effetti nefasti sul nostro paesaggio. Si oppongono quindi gli ambientalisti, da cui si stacca Legambiente, avvinta senza se e senza ma alle fonti alternative.

Sono netti gli argomenti a loro favore. Sostituiscono le fossili, riducono drasticamente l'emissione di CO2 e vari inquinanti, vanno verso la meta degli accordi di Parigi sul clima; possono creare nuovi business e concorrono allo sviluppo, riducendo il peso reale del debito.

Meno nette ma non perciò trascurabili le ragioni opposte. I tempi stretti possono travolgere ogni resistenza, decretando un “liberi tutti” in nome d'uno sviluppo momentaneo, dalla vista corta.

Spaventa pure la revisione degli appalti, gradita invece alla nostra efficiente criminalità.

Perché l'eolico contribuisca davvero agli obiettivi, dovremmo montare pale su un'area come il Friuli-Venezia Giulia. Alte anche oltre 200 metri, esse muterebbero radicalmente il paesaggio italiano. Pure il solare su scala industriale solleva obiezioni simili. Perciò si chiede una sede in cui discutere i siti ove esse possano realizzarsi.

Non si può pensare che basti ridurre i consumi. In democrazia le scelte di fondo vanno approvate, almeno condivise, dalla maggioranza. E l'azione di ogni Stato è vana se gli altri, specie i grandi, restano sui consumi fossili.

Ora i 200 miliardi del Ngeu mutano il campo di gioco, sbilanciandolo vistosamente. Ciò avvia forse una nuova fase nel perenne conflitto di cui sopra, ma è importante che il “fare oggi” si concilii con il dovere di “conservare per il domani”. Il paesaggio italiano, nonostante gli scempi sopra lamentati (anche in montagna) resta una grande attrattiva per il turismo attratto dalla cultura. Ne ha bisogno la prossima generazione, quella cui è rivolto il Ngeu; soprattutto essa deve poterne vivere ogni giorno la bellezza, e tramandarla ai discendenti.

Apra dunque il governo Draghi una finestra, intensa ma breve, due settimane in cui ascoltare le ragioni di chi teme lo scempio; deciderà poi, col Parlamento, secondo scienza e coscienza. Fare di questa ricchezza millenaria un vano, grande falò sarebbe colpa storica. Non vorrà mai farsene complice un governo di assennati e competenti.

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