Tutti pensano giustamente al Next Generation Eu (Ngeu), e ai suoi 200 miliardi, ma passa sotto silenzio l'avvio del “Patrimonio Rilancio” (Par): una botta da 44 miliardi, più del 20 per cento di Ngeu. C'è dietro il timore del collasso del sistema, quando scadranno moratorie e garanzie pubbliche.

Par non vorrà essere ora un nuovo Iri ma, per dimensioni e regole d'ingaggio, potrà ben divenirlo. Per fortuna oggi al governo non c'è un Mussolini, ma nemmeno ci sono gli Alberto Beneduce o i Donato Menichella che l'Iri lo pensarono prima e lo ressero poi, a progettarne la nuova versione.

Non basta un ministro dell'Economia serio e scrupoloso a far da fondamenta a così imponente edificio.
Par nascerà, con durata di 12 anni, dentro Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) come suo “Patrimonio Destinato” (Pad); la figura, prevista dal Codice Civile (articoli 2447bis – decies), consente ad una SpA di finanziare uno specifico affare, isolandolo dal resto e sottraendolo alle pretese dei propri creditori.

Per questo un Pad non può superare il 10 per cento del patrimonio netto della SpA; il limite è però derogabile da una legge speciale, come quella istitutiva del Par (17 Luglio 2020 numero 77).

Colpisce che l'importo di questo, lungi dal restare sotto il 10 per cento, addirittura sia maggiore del patrimonio netto di Cdp.

Destinato a cosa?

Un Pad serve a fini diversi, ben circoscritti; perciò il Codice chiede di indicare «l'affare al quale è destinato il patrimonio». A quale “affare” è destinato Par? Tanto è “speciale” questa legge, da sottoporre l'istituto del Pad a torsioni che lo snaturano nel profondo.

A causa del Covid, girano tanti miliardi da farci perdere il senso delle proporzioni. Per recuperarlo e avere idea dell'impatto di Par, servono termini di paragone.

Un Par da 44 miliardi è il 2,5 per cento del Pil, poco meno del 10 per cento della capitalizzazione di tutto il Mta di Borsa Italiana. Leviamo da questa le grandi imprese di Stato, le banche e le assicurazioni; scopriamo così che, al netto delle quote di controllo, Par varrà quasi il 40 per cento del “flottante” dell'Mta cui si riferisce.

In un Paese dominato dalle piccole imprese, Par interverrà solo in quelle con ricavi oltre i 50 milioni e manca di strumenti atti a spingerle ad aggregazioni che ne accrescano la dimensione media. Esso farà operazioni sia «di mercato»  sia «nel quadro normativo temporaneo della Ue sugli aiuti di Stato»; mancando indicazioni sulla ripartizione fra le due categorie, possiamo aspettarci la netta prevalenza di queste ultime.

Esse si rivolgono ad una vasta constituency, prevedendo una larga casistica di interventi; si potrà anche mirare a «evitare difficoltà di ordine sociale e considerevoli perdite di posti di lavoro, l'uscita dal mercato di un'impresa innovativa o di importanza sistemica, il rischio di perturbazioni di un servizio importante o situazioni analoghe debitamente giustificate». 

Qui il Regolamento va oltre la legge istitutiva , che fra i criteri d'intervento si limita alla vaga considerazione «dei livelli occupazionali».

Par potrà inoltre intervenire in imprese incluse nel 30 per cento di quelle «con maggior numero di dipendenti nella provincia dove è situata la propria sede legale ovvero la sede dello stabilimento produttivo».

A prezzo di qualche ammaccatura nella madre lingua, ogni campanile avrà la sua bella quota di interventi; per questo nei consigli di amministrazione che li decidono siederanno tre esperti scelti dalle regioni?

Il rischio di aiuti a fondo perduto

Il Regolamento neanche dice come Par rientrerà da tali investimenti, salvo vaghi richiami alla «vendita della partecipazione dei soci di maggioranza in caso di opportunità di dismissione del controllo sulla società, (a)l diritto del Patrimonio Destinato di recedere dalla società e (al)I' obbligo dei soci di maggioranza della società di acquistare la partecipazione». Dodici anni passano in fretta; da quali investimenti, e a che condizioni, rientrerà Par?

Più che di Iri, qui c'è un odore di Gepi penetrante, e non della migliore, che pure ci fu. Di operazioni “a condizioni di mercato” ne avremo poche, visto che per le altre non c'è un tetto.

Le idee di un comitato di economisti per uscire dalla crisi, presentate da Mario Draghi e Raghuram Rajan a metà dicembre, andavano in altra direzione, suggerendo di passare dal soccorso a pioggia al sostegno limitato a chi potrà andar bene nel mondo post Covid.

Non si discute la buona volontà o la serietà delle intenzioni dei proponenti, ma esse non possono contrastare la forza di gravità della ricerca del consenso politico; tanto più che i modelli previsionali per le imprese, su cui si baseranno gli interventi, si prestano senza troppa difficoltà a centrare gli obiettivi richiesti.

Anche le condizioni per le “operazioni di mercato” sono un po' lasche. Esclusi quelli implicanti il controllo di diritto di una quotata, è ammesso quello di fatto, o condiviso.

Per le non quotate, come per le operazioni del primo tipo, il valore dell'aumento di capitale dell'impresa risulterà «da una valutazione effettuata da un esperto indipendente» basata su «una vendor due diligence predisposta dal revisore legale dell'impresa richiedente, se presente, ovvero da altri soggetti dotati di adeguata esperienza e qualificazione professionale».

Il valore lo fisserà dunque il venditore? Par potrà investire in imprese le cui perdite «non superano il 50 per cento del capitale sociale» (meglio sarebbe il patrimonio netto, sed transeat) o hanno avuto oneri finanziari anche uguali al margine operativo Lordo (comprensivo degli ammortamenti). Non si faranno molte operazioni “di mercato” su imprese simili.

È certo utile, ma non risolutiva, la richiesta di co-investimento di privati per almeno il 30 per cento; si presta a elusioni nemmeno troppo ardite. Ingenua è poi l'idea che l'uscita di Par da questi interventi sia garantita da accordi parasociali troppo spesso aggirati o disattesi.

Ipotesi alternative

C'è un problema da risolvere, molto serio, ma è davvero questa la risposta giusta? Meglio sarebbe prendere il toro per le corna, dando al piano di risposta al Covid una base istituzionale più ampia e solida.
Lo strumento scelto dovrebbe poi avere regole d'ingaggio più semplici, basate sulla fiducia a un gruppo dirigente di riconosciuta esperienza e indipendenza.

Si potrebbero così raccogliere da privati somme importanti, vista la massa di liquidità alla ricerca di occasioni d'investimento. Altrimenti sarà meglio inviare alla Ue, assieme al programma Ngeu, anche il Regolamento del Par.

Se il “vincolo esterno” non ci salva l'onore, almeno limita i danni. Sarà magari Bruxelles a condizionare gli interventi almeno al rispetto della legge sulle sub forniture, che obbliga a liquidarle a 60 giorni, ma è qui bellamente ignorata dalle grandi imprese, anche estere. Va dotata di sanzioni per chi la vìola, dure e ad applicazione automatica.

© Riproduzione riservata