Il mantra del momento sarà questo: ora che è stato ridotto il numero dei parlamentari bisogna sceglierli bene, e scegliere i migliori (non un mucchio di sbandati, ma un consesso di esperti e di saggi). Dieci autorevoli costituzionalisti hanno lanciato un appello augurandosi che venga adottato un sistema elettorale “che consenta alle persone di individuare e scegliere chi mandare in parlamento, instaurandovi un effettivo rapporto rappresentativo e potendo far valere la loro reponsabilità politica”. “Da troppo tempo, essi affermano, le nostre leggi elettorali hanno imposto sistemi di liste bloccate”, “riteniamo essenziale favorire un’effettiva scelta da parte degli elettori”.

Non è cosa da poco. Almeno a guardare gli ultimi due-tre secoli. Vediamo. Oggi definiamo la democrazia come una lotta competitiva per il voto popolare (così Joseph Schumpeter).

Dunque eleggere vuol dire come prima cosa scegliere, che ciascun elettore scelga i più idonei. Ovvio allora che il primo passo decisivo è chi si candida, e chi sceglie i candidati.

Nei regimi democratici le leggi elettorali non l’hanno mai stabilito e non devono dirlo (nelle dittature magari sì): candidarsi, o presentare un candidato, è una libera scelta, non certo codificabile.

Al massimo si possono fissare dei requisiti minimi – per esempio di età (già la distinzione di genere è discutibile, ma insomma) – ma null’altro.

E per esistere un candidato deve essere (già) conosciuto, o farsi conoscere nella campagna elettorale; e se vuole anche essere scelto, deve emergere, deve convincere, segnalarsi per caratteristiche non comuni (elezioni e élites hanno la stessa radice).

E’ stato osservato che è comunque un processo intrinsecamente “aristocratico”, più che “democratico”, perché premia chi ha denaro a disposizione, l’accesso ai media, forti capacità comunicative... Ma nel passato tutto ciò rifletteva l’ordine naturale della società, sia quando in Gran Bretagna – e fino a 1874 !  – il voto era palese, in un festoso vociare, i candidati erano i signori del posto, ben conosciuti (e ricchi: spendevano un sacco di soldi), tanto che molte elezioni erano “uncontested”, cioè senza rivali.

Più tardi nell’Ottocento, in regime di suffragio ristretto – ad esempio in Italia erano i 508 collegi uninominali con sistema maggioritario e scrutinio a doppio turno - erano i gruppi di notabili del luogo a presentare uno di loro.

I sostenitori del sistema ne vantavano i pregi, della conoscenza diretta tipica del rapporto notabilare (oggi si parla di vicinanza al “territorio”). Ma era proprio ciò che criticavano i sostenitori del sistema di lista, vantando la spersonalizzazione, il passaggio dalla dimensione privata-personale a quella universale-ideologica, insomma l'avvento dei programmi, di contatti più ariosi nell'epoca dei giornali, delle ferrovie e del telegrafo.

Votare un’idea

Lo diceva nella Francia repubblicana Léon Gambetta: non vince una persona, vince un'idea. E in effetti per qualche tempo si cambiò, passando a 135 collegi plurinominali (in ciascuno si eleggevano fino a cinque deputati) con scrutinio di lista e voto limitato (che dava voce anche alle minoranze), ma fu una delusione: il sistema fu accusato di aver favorito voti di scambio e losche transazioni di intermediari, i “politicians” deprecati negli Stati Uniti.

La vicinanza, l’influenza ha infatti questo doppio volto. Positivo, quando indica la società civile, che partecipa, forma le opinioni e orienta in modo virtuoso le scelte; negativo, se si intesse di logiche corruttive. E allora, come governare in maniera virtuosa questi meccanismi?

Senza filtro

A lungo ci siamo affidati ai partiti, che con le loro sezioni e la loro stampa e i loro dibattiti, nel bene e nel male insieme a noi hanno selezionato, filtrato, messo alla prova i singoli e costruito candidature. Ma oggi hanno smesso di svolgere questa funzione. Semmai hanno ceduto a tutt’altro modo di decidere, assai antico, che non è nella scelta individuale, ma nell’acclamazione (se è vero che “voto” viene da “vox”, il grande alzar di scudi delle orde germaniche).

A tacere delle acclamazioni plebiscitarie d’ogni tempo, da Napoleone a Hitler ed oltre, non sono forse stati anche i nostri voti ai partiti delle acclamazioni di massa più che delle scelte singole, anche se frammentate in collegi elettorali?

Troneggiavano lo scudo crociato o la falce e il martello, finché un giorno il grande innovatore della seconda repubblica cominciò a far giganteggiare il suo faccione e il suo nome, tutti uguali, su tutti i manifesti dei candidati locali che chi-se-li-ricorda. E da allora ha trionfato il “partito personale”.  

Ma poiché i nostri costituzionalisti vogliono, come vogliamo noi, restare nella logica della scelta, allora domandiamoci: superata la conoscenza “comunitaria”, rifiutati meccanismi corruttivi e clientelari, scomparsi i partiti, su quali articolazioni partecipative possiamo contare, e come mobilitarle?

La società civile

Viene in mente l’elenco con cui il Libro bianco dell'Unione Europea nel 2001 definì la società civile, comprendendo “le organizzazioni sindacali e le associazioni padronali (le "parti sociali"), le organizzazioni non governative, le associazioni professionali, le organizzazioni di carità, le organizzazioni di base, le organizzazioni che cointeressano i cittadini nella vita locale e comunale, con un particolare contributo delle chiese e delle comunità religiose”. Potremmo continuare.

Come dar voce a questa società civile, dopo che non ha fatto buona prova l’ipotesi della rappresentanza “corporativa”, e mentre la “democrazia partecipativa” stenta a raccordarsi con quella rappresentativa? Per ora, diciamocelo, abbiamo avuto solo balbettii.

Basti dire che il modesto artificio delle preferenze nello scrutinio di lista – già di per sé oggetto di manipolazioni le più varie – è stato abolito perché ritenuto fonte di corruzione…. E quando i partiti nella loro paralizzante afasia hanno lasciato la parola all’improprio intervento della Corte costituzionale, questa ha potuto solo sentenziare su dettagli. Ad esempio censurando le lunghe liste bloccate.

Da qui, da queste sentenze, dichiarano di voler prender le mosse i nostri costituzionalisti.

La strada è lunga. Ma poiché conoscono a fondo la materia, certo ci diranno presto cose importanti.

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