12 dicembre 2025: il senso della storia in uno sciopero

Anche cinquantasei anni fa il 12 dicembre cadde di venerdì e non fu un giorno qualunque per la storia d’Italia. Era il 1969 e nella seduta del giorno precedente il Senato aveva approvato in prima lettura quella riforma del diritto del lavoro, diventata legge il 20 maggio 1970 dopo il voto definitivo della Camera, che sarebbe passata alla storia come Statuto dei lavoratori. Fu l’esito della più grande, duratura e vasta mobilitazione operaia e sindacale della storia della Repubblica che oggi è ricordata come «autunno caldo» ma che prese forma e corpo almeno dalla metà del 1968 (74 milioni di ore di sciopero) per giungere alla fine del 1969 a registrare oltre 250 milioni di ore di sciopero con il derivante correlato di picchetti, cortei interni, sabotaggi, blocchi della produzione. Con lo Statuto dei lavoratori finalmente, si disse all’epoca, «la Costituzione era entrata in fabbrica» ed effettivamente esso rappresentò la prima vera applicazione dell’articolo 3 della nostra Carta. Un risultato conquistato con dure lotte dal movimento operaio, ne furono testimonianza le 10.000 denunce subite da lavoratori e dirigenti sindacali su cui intervenne l’amnistia promossa dal socialista Antonio Giolitti, che in parlamento portò il nome di un padre nobile come Giacomo Brodolini. Una vicenda intrinseca al corpo stesso del sindacato che proprio in quella stagione seppe riformare se stesso per accogliere nelle sue file (con consigli di fabbrica, delegati eletti dalle assemblee e nuove forme di lotta «selvagge») milioni di donne e uomini che vivevano il lavoro e di lavoro vivevano. Quell’alleanza con la destra estrema. Ma i servizi sono pure Calipari e Ciampi Tornate fondamentale Ma quel 12 dicembre 1969 fu Giano bifronte della storia d’Italia poiché mentre vedeva la luce lo Statuto deflagrava, con l’attentato di piazza Fontana, lo stragismo politico ovvero quel fenomeno (unico per caratteri, durata, intensità e vittime nel panorama delle democrazie europee) destinato a segnare tre lustri della vita nazionale. Una risposta paramilitare ed eversiva diretta contro la Costituzione repubblicana e la sua applicazione. Una risposta di matrice plurima: neofascista quella esecutiva; degli apparati di forza istituzionali come sostegno e copertura dei responsabili; sociale in termini di derivazione e identità di quei settori delle classi dirigenti e proprietarie del paese che non avevano mai accettato la Carta del 1948 come nuovo ordinamento della nostra democrazia; atlantica come radice di rapporti, relazioni e nessi tra le forze della Nato e i gruppi dell'estrema destra nell’ottica della guerra al comunismo. Un tornante fondamentale e tragico, quello di quel venerdì 12 dicembre, che esplicitò e contrappose il senso e la ragione della posta in gioco. Da un lato una postura autoritaria ed eversiva mirante a recuperare, con il terrore, il terreno perduto sul campo sociale con le lotte sindacali e dall'altro la «democrazia conflittuale» disegnata e legittimata dalla Costituzione figlia del 25 aprile 1945. Dal Sim del Duce alle stragi nere. Cent’anni di deviazioni e segreti Lo sciopero del 12 dicembre 2025 È un’eredità, quest’ultima, di grande urgenza nel presente poiché restituisce la natura profonda della nostra Repubblica ovvero il suo configurarsi non come democrazia liberale ma come democrazia costituzionale. Una sostanza qualitativa che non solo ci avverte del pericolo che a mettervi mano per stravolgerla siano gli eredi politici dei fascisti di Salò Giorgio Almirante e Pino Rauti (che per la strage di piazza Fontana fu arrestato, indagato e poi assolto), ma soprattutto che proprio alla crisi della democrazia liberale (incapace di affrontare la questione sociale) è dovuta l’emersione reattiva del sovranismo postfascista che si presenta come negazione e antitesi del principio della sovranità popolare. Di fronte a questi fenomeni la nostra democrazia costituzionale, con la sua applicazione reale, assume fattezze e forma concreta di una risposta tanto all’estrema destra quanto all’assetto liberale che, presentato come modello unico e totale, è oggi artefice della sua stessa messa in discussione in ragione delle sue contraddizioni e dell’incapacità di impattare sulle inevase e complesse questioni del nostro tempo, a partire dalla dilagante disuguaglianza sociale. Lo sciopero generale del prossimo venerdì 12 dicembre, dunque, scansando le miserie dialettiche del governo Meloni sul lungo fine settimana, si presenta come un’occasione di recuperare e trasmettere l’orizzonte di senso della nostra storia, quella che viene da quel 12 dicembre 1969, dentro una mobilitazione reale e scevra dalle vuote retoriche celebrative degli anniversari. Acca Larentia, l’estrema destra e il mito politico del sangue