Su questo giornale, Piercamillo Davigo ha sostenuto che lo sciopero della fame di Alfredo Cospito per protestare contro il regime carcerario cui è sottoposto sarebbe un ricatto allo stato, un ricatto da non accettare, simile a quello dei sequestratori a scopo di estorsione. Argomentazioni simili sono comparse in altre sedi, soprattutto in riferimento agli atti dimostrativi, spesso violenti, degli ultimi giorni, che si presumono avere lo scopo di aiutare la protesta di Cospito.

Questi atti non aiutano affatto Cospito, lo sciopero della fame non è un ricatto e l’analogia fra digiuno e violenza contro le cose e le persone è sbagliata.

È evidente, infatti, che c’è differenza fra fare violenza agli altri e farla a sé stessi. Imporre la propria volontà agli altri grazie alla minaccia di subire conseguenze spiacevoli in caso di disobbedienza: questo è il ricatto, e si ha quando un malfattore punta la pistola alla sua vittima, quando rapisce e tiene in prigionia qualcuno chiedendo un ricatto, quando, in guerra, un esercito e uno stato esibiscono armi e minacciano di usarle.

Il ricatto è la minaccia di violenza nei confronti di altri ed è ovviamente un atto di coercizione. La coercizione esercitata dallo stato nei confronti dei cittadini è molto simile, peraltro, solo che è legittimata dal consenso democratico e dal rispetto dei diritti umani e politici, incastonati nelle costituzioni liberal-democratiche.

Una minaccia, non un ricatto

Lo sciopero della fame è la minaccia di lasciarsi morire se non si ottengono certi fini. C’è una minaccia, anche in questo caso, e c’è un tentativo di piegare la volontà altrui. Ma la vittima coincide con l’autore della minaccia, e questo fa una ovvia differenza, per molte ragioni.

Fa differenza perché, mentre non ci può essere libertà di fare violenza ad altri (o almeno ad altri innocenti e inermi), ci può essere libertà di farsi violenza, per le ragioni che si ritengono giuste.

Chi dice che lo stato non può accettare il ricatto di Cospito vorrebbe forse immaginare un regime di nutrizione forzata? In certi casi, l’esercizio della libertà può prevedere di rinunciare a certe libertà e certi beni per ottenerne altri, che si ritengono di valore superiore – nel caso di Cospito per cercare di ottenere certe libertà di pensiero che, a suo parere, sarebbero messe a repentaglio dal regime del 41 bis.

All’interno dell’etica

Un’altra differenza sta nel fatto che lo sciopero della fame rimane tutto all’interno dell’etica, mentre il ricatto della violenza contro altri ne esce, quali che siano le intenzioni. Lo sciopero della fame è un’arma, come si dice spesso, e forse una forma di violenza, ma è la violenza delle ragioni dell’etica.

Cospito usa un principio etico – la salvaguardia della vita umana – contro quello che ritiene una violazione di altri principi etici e politici – la tutela della libertà di pensiero dei detenuti e forse la proporzionalità e i fini rieducativi della pena, e i vari principi che, come ha ricordato sempre su questo giornale Gherardo Colombo, animano la nostra Costituzione. Cospito esercita una violenza su sé stesso, che è perfettamente lecita, e richiama i suoi concittadini e i giudici alla coerenza.

La coerenza logica e morale impone qualcosa, detta delle norme, e commina la pena dell’errore concettuale e morale agli incoerenti. In questo senso, anche la ragione è violenta. Ma chiamare questa violenza un ricatto è fuorviante e mistificatorio.

Chi cedesse a un estorsore per salvarsi o per salvare le vittime forse compirebbe un atto moralmente giusto, o forse no – perché esporrebbe altre vittime ad altre estorsioni. In queste situazioni, come è stato nel caso del sequestro di Aldo Moro, non ci sono ragionamenti netti e limpidi.

Ma non cede ad alcun ricatto chi risponde al richiamo di chi segnala la violazione di una norma morale testimoniando con il proprio corpo. Semmai, riconosce le ragioni eventuali del testimone. E chi manifesta fino alle estreme conseguenze per difendere le proprie idee, giuste o sbagliate che siano, non ricatta, ma impersona un ideale di coerenza e integrità.

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