Sommati tra loro, gli ascolti registrati giovedì sera, dopo la fumata bianca, raccontano di un paese intero che si mobilita e letteralmente si riunifica davanti al televisore per assistere a un momento epocale non solo del cattolicesimo, ma della società nel suo complesso
Quando si dice l’evento mediale, per usare la fortunata espressione degli studiosi Daniel Dayan ed Elihu Katz. L’imprevisto nell’attesa non è un paradosso comunicativo, ma l’essenza stessa di un momento fortemente simbolico e carico d’emozione come l’elezione di un nuovo papa.
Alle 18.08, mentre i commentatori facevano “melina” prevedendo una nuova fumata nera e i tg si preparavano per quella decisiva che tutti ormai immaginavano per l’orario di cena, ecco l’improvvisa fumata bianca che trasforma il dibattito e l’ordine delle priorità.
In un baleno, tutti i canali generalisti hanno interrotto le rispettive programmazioni per lasciare spazio agli speciali delle testate giornalistiche.
Sommati tra loro, gli ascolti (Raiuno con oltre sette milioni e mezzo e oltre il 42 per cento di share per lo speciale interrotto a pochi minuti dall’inizio del Tg e di nuovi approfondimenti è il canale con il miglior risultato nella cosiddetta fascia del “preserale”) raccontano di un paese intero che si mobilita e letteralmente si riunifica davanti al televisore per assistere a un momento epocale non solo del cattolicesimo, ma della società nel suo complesso.
Forza resiliente
È la forza (resiliente) della televisione, di un mezzo ancora capace di convogliare i pubblici frammentati dell’èra digitale in rituali antichi, scanditi dai volti degli anchormen più noti, dagli inviati che si fanno largo tra l’entusiasmo della folla, dalle immagini che diventano storia, da una condivisione che dal salotto e dai divani di casa si riversa nei messaggi e nelle chat di WhatsApp.
Nell’ora che trascorre tra la fumata bianca e il pronunciamento della formula dell’«habemus papam», la strada è tracciata: le speculazioni, i pronostici, le riflessioni e le analisi riempiono l’attesa. Tutto è costruito per convergere nel momento cruciale dell’annuncio del nuovo pontefice e scoprirne nome, volto, origine.
La storica giornata dell’8 maggio ha mostrato, ancora una volta e a pochi giorni di distanza dai funerali di papa Francesco, come la televisione sappia esaltarsi nei grandi eventi e come quella sia la vera partita in cui sembra non avere avversari; una televisione che non si limita a svolgere l’antico compito di “finestra sul mondo”, ma che sfrutta la visibilità e solennità dell’evento per esibire se stessa, per piegare (per quanto possibile) un rituale millenario alle proprie esigenze, contribuendo, partecipando e indirizzando il coinvolgimento di un’intera nazione (e del mondo intero, in questo caso).
Conservazione e riproduzione
A breve, il 18 maggio, in occasione della messa di inizio pontificato di Leone XIV, assisteremo a un’ulteriore conferma di questo ruolo, di come il broadcasting televisivo continui a svolgere nei confronti della rappresentazione del cattolicesimo quel doppio ruolo, per certi versi contraddittorio, ma in realtà profondamente complementare, di conservazione e riproduzione di un rituale che inevitabilmente contribuisce a trasformare.
L’elezione del cardinale Robert Francis Prevost ha continuato poi a occupare i palinsesti serali, con le emittenti televisive che hanno modificato o rafforzato la propria offerta; le ammiraglie Raiuno e Canale 5 salde e fedeli al proprio ruolo con speciali condotti da Bruno Vespa e Cesara Buonamici, mentre su La7 (per eccellenza la rete generalista dei talk e dell’informazione) la “fortuna” di affrontare la storicità dell’evento è toccata a Corrado Formigli con il suo Piazzapulita.
Speciali informativi anche per Raidue e Retequattro con Dritto e rovescio, mentre su Italia 1 andava in onda Mission Impossible e su Raitre il previsto esordio della nuova stagione del programma di Piero Chiambretti (Donne sull’orlo di una crisi di nervi) è stato in extremis sostituito da un altro film classico come Momenti di gloria. Residui marginali di una proposta televisiva tutta orientata all’approfondimento e al racconto del contingente.
Unica eccezione di un certo rilievo? La semifinale di Conference League con la sconfitta della Fiorentina contro gli spagnoli del Real Betis: oltre l’11 per cento di share e il muro dei due milioni di spettatori sfondato nel secondo tempo e nei tempi supplementari.
Perché, in fondo, lo sport – e il calcio in particolare – è un’altra grande religione del nostro paese, unico contenuto capace di continuare ad aggregare pubblico e generare ascolti. Anche in un giorno storico come quello che segna la nomina e l’avvio del pontificato del 267esimo pastore della chiesa cattolica.
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