Come contenere questa destra? La domanda potrebbe essere cruciale, per l’Italia e l’Europa. Su Domani con essa si sono misurati Urbinati, Felice, Feltri, Ignazi, Visco. Io mi sono limitato a dire che le strategie possibili sono due: fare leva sulle idee – l’opzione migliore, ho scritto anche sulla stampa estera – oppure sul numero, aggregando una coalizione magari arlecchinesca ma capace di prendere un seggio in più dell’avversario, o non troppi di meno.

Non ho ricevuto risposte sulla stampa ma su Twitter. Le strategie non sono due, mi è stato obiettato, ma tre: perché ci si può battere sia con le idee sia con le alleanze.

Ma l’apparente buon senso di questa terza via mi è parso il riflesso della difficoltà della scelta: se sciogliere l’incertezza tra due alternative è rischioso, può sorgere il desiderio di negare il dilemma immaginando una soluzione di compromesso che eviti la decisione. Ora che è stata tentata posso dire con più fondamento che la terza via è illusoria.

Infatti nei giorni scorsi il Pd ha firmato un’alleanza con Azione e +Europa, fondata su due pagine di convergenze programmatiche; ma insieme ha formulato una propria distintiva proposta, la dote per i diciottenni. Proposta apprezzabile, sebbene forse imperfetta, che però è subito annegata nelle accese polemiche tra centristi e rosso-verdi.

L’eco debolissima che essa ha ricevuto attesta che, tra qui e il voto, molto difficilmente un Pd vincolato a una coalizione programmatica ma ideologicamente disomogenea riuscirà a promuovere le proprie idee in modo credibile.

Anzi, plausibilmente Ignazi prevede che Azione e +Europa saranno «la punta di lancia della coalizione, quelli che daranno il tono al campagna elettorale», con la probabile conseguenza di «perdere la componente verde-rossa» ed «esaltare il profilo laburista del M5s, rinvigorito nel suo appello anticasta». La terza via è un vicolo cieco.

Verosimilmente il Pd l’ha preferita perché ha paura di scegliere, ha poche idee condivise, e un accordo al ribasso è parso più semplice che battersi su di esse. Un accordo farcito di qualche ideuzza, però, che ha l’effetto di respingere chi non le condivide. Questa strategia condanna il partito all’afasia e costringe la coalizione in confini troppo stretti.

La sterzata è urgente. Se il Pd non si fida delle proprie idee abbracci senza timore la strategia della coalizione larga, e aggreghi chiunque promette un apporto netto positivo di voti. Ciò sembra escludere i soli «renziani», apparentemente molto detestati (e forse più utili, loro malgrado, in mezzo e da soli).

Ma rosso-verdi e M5s devono assolutamente essere inclusi, anche a prezzo della più litigiosa cacofonia: si limiti l’accordo di coalizione alle sole candidature, e poi ciascuno dica ciò che vuole e attacchi chi desidera. È la strategia peggiore, ma è una strategia sensata: la terza via no.

È interesse sia del Pd sia di Azione/+Europa allargare la coalizione, superando anche il veto al M5s, e ciò sia che essi mirino a difendere la costituzione e l’UE sia che abbiano fini più bassi: gli ultimatum di Azione e dei rosso-verdi non sono ideologici, credo, ma funzionali al negoziato sulla spartizione dei seggi che il Pd dovrà cedere agli alleati. 

Lo stesso dovrebbe valere per il M5s, che è meno lucido ma non ha ideologie da difendere e rischia egualmente di sparire. Il negoziato sarà infiammato sino al termine per presentare le candidature, ma i seggi del Pd possono chiuderlo: poi sarà interesse comune che i litigi si acquietino.

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