C’era bisogno che lo chiarisse Bill Emmot sul Financial Times? L’elezione di Mario Draghi alla presidenza della Repubblica, al primo scrutinio, con largo consenso, sarebbe il tassello fondamentale per la messa in sicurezza del Paese lungo il percorso che porta oltre la crisi pandemica, consolidando se possibile, per un tempo più lungo dell’anno di grazia 2021, la buona reputazione e la centralità ritrovata dall’Italia nel contesto internazionale.

Il lavoro per impostare il Pnrr è stato completato. Non sarà l’assenza di Draghi da Palazzo Chigi ad alterare il quadro. Se la messa in opera del Pnrr verrà affidata ad un esecutivo sostenuto dalla stessa maggioranza, guidato da una figura che operi in sintonia con il Quirinale, la legislatura potrà arrivare fino alla sua naturale scadenza.

Dopodiché, se i risultati delle elezioni saranno nitidi, si tornerà alla normalità della democrazia dell’alternanza, con una garanzia in più, costituita da un presidente della Repubblica indubbiamente autorevole, indipendente, non ascrivibile a nessuno dei due schieramenti.

Se le elezioni si riveleranno non decisive, magari perché nel frattempo chi teme di perderle avrà promosso un ritorno al sistema proporzionale, una figura di quel tipo sarà ancora più utile per gestire lo stallo.

Quanto semipresidenzialismo

Se Draghi verrà eletto, avremo un anno di presidenza della Repubblica French Style. Qualcuno dice di tipo semipresidenziale, ma per ragioni che ho spiegato in un precedente intervento, considero il termine fuorviante e comunque il modello non replicabile stabilmente nel contesto italiano.

Da qui alle prossime elezioni parlamentari invece sì, Draghi potrebbe svolgere un ruolo di indirizzo politico simile a quello che in Francia svolge Macron, per ragioni rese a mio avviso evidenti anche dal modo in cui si è svolto il dibattito pubblico sull’elezione del Presidente della Repubblica.

Abbiamo assistito nei giorni scorsi ad una serie di dichiarazioni da parte dei leader dei principali partiti apparentemente surreali.

Quelli che teoricamente sarebbero i king maker, hanno detto cose che suonano come un cortese invito a Draghi a non offrire la sua disponibilità, dando per assodato che se lo facesse sarebbe impossibile non eleggerlo.

Tra i bene informati si diceva: “deve decidere lui cosa vuole fare”. Questa inusuale inversione delle parti da a intendere che in pratica il presidente del Consiglio, per ragioni che attengono sia al suo profilo sia alle circostanze (l’eccezionalità delle sfide e l’assoluta contrarietà dei parlamentari ad andare a elezioni anticipate), appare oggi come l’elemento che tiene in equilibrio il sistema politico e il vero dominus della maggioranza parlamentare.

Se è così, e verrà eletto presidente della Repubblica, avrà la possibilità di scegliere un premier che opererà fino alla fine della legislatura come un suo fiduciario.

Gestire il trasloco

Italy's Prime Minister Mario Draghi takes off his face mask during a press conference at the La Nuvola conference center for the G20 summit in Rome, Sunday, Oct. 31, 2021. Leaders of the world's biggest economies made a compromise commitment Sunday to reach carbon neutrality "by or around mid-century" as they wrapped up a two-day summit that was laying the groundwork for the U.N. climate conference in Glasgow, Scotland. (AP Photo/Andrew Medichini)

I giuristi si sono confrontati sulla procedura da seguire nel caso inconsueto di trasloco diretto da Palazzo Chigi al Quirinale. Una fattispecie che la legge 400/1988 sulla presidenza del Consiglio non considera e che può essere gestita quindi solo interpretando in modo estensivo l’articolo 8, secondo il quale «in caso di assenza o impedimento temporaneo del presidente del Consiglio dei ministri, la supplenza spetta al vicepresidente».

Se non c’è un vicepresidente, la supplenza spetta, «in assenza di diversa disposizione da parte del presidente del Consiglio dei ministri, al ministro più anziano secondo l'età».

Teoricamente, quindi, Draghi potrebbe anche dettare una sua “disposizione”, un attimo prima di cessare il ruolo, indicando un diverso supplente. Ma è improbabile che lo faccia.

Così come è improbabile che Sergio Mattarella si assuma il compito di gestire la crisi e conferire il nuovo incarico in presenza di un presidente-eletto. Cosicché, l’anno della Repubblica di stile francese potrà avere inizio.

Che questo scenario risulti plausibile, ancorché non necessariamente corrispondente a ciò che accadrà, non è affatto strano, per il nostro paese. Per oltre tre decenni sono stati fatti tentativi per riformare la Costituzione e rendere il nostro assetto istituzionale più efficiente, i governi più stabili, il parlamento meno ridondante. Tutti i tentativi si sono infranti contro la logica della delegittimazione reciproca tra gli schieramenti, contro le loro convenienze di breve termine e il conservatorismo dei difensori della “Costituzione più bella del mondo”. Salvo poi scoprire che il bicameralismo è stato superato di fatto, che le province sono state “quasi” abolite, che il ruolo del Presidente della repubblica ha cambiato natura …. a Costituzione invariata.

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