Se in politica domina il lessico infetto dei bulli

Abbiamo perso il senso delle parole, che prima erano pietre e adesso sono aria piuttosto maleodorante. Il digrignamento di denti è la regola con cui ci rivolgiamo agli altri, nel nostro privato ma, ahinoi, anche nelle relazioni pubbliche, tra responsabili politici, rappresentanti del popolo e capi di governo. Solo che, se a fare la faccia truce è uno che ha sulle spalle le sorti di un intero Paese, è peggio. Se poi la Costituzione gli mette nelle mani un potere immenso, ogni sua parola, declinata in particolari contesti, è destinata a cambiare la realtà. Molto spesso non è neppure necessario che le cose vengano dette nelle istituzioni: si pensi all’effetto di certe dichiarazioni alla vigilia dell’apertura delle Borse. Prendiamo il caso Trump, presidente degli Usa con una maggioranza ben solida nel Congresso. Trump è un esternatore compulsivo, di quelli che, come si dice dalle mie parti, non sanno tenersi il cece in bocca. Anzi: se non si toglie il cece, soffre. Così quando qualche raro ricercatore delle università americane sopravvissuto all’ira funesta del presidente vorrà lavorare all’esegesi del lessico trumpiano in questi mesi di presidenza, si troverà di fronte ad una massa alluvionale di detto e ritrattato, tale da disorientare il più pervicace esegeta. Non è necessario fare l’elenco delle sue affabulazioni pericolose, basterà mantenere il registro cronologico. Per esempio la reazione all’efferato omicidio di Charles Kirk, il blogger sostenitore della filosofia Maga. Trump, gonfio di commozione, ha affermato che l’assassino della giovane promessa dell’estremismo americano merita la pena di morte. Ora, può essere pure che gli amici del bar Sport, scorrendo il giornale messo a disposizione dei clienti commentino il fatto di cronaca con battute analoghe, sicuramente poco commendevoli, ma loro magari sono pensionati, hanno preso un cicchetto prima di farsi la carambola e uno sproposito se vien detto non provoca catastrofi. Se lo fa il presidente degli Stati Uniti non è proprio la stessa cosa. In quella battuta presidenziale c’è la negazione della democrazia poggiata sulla separazione dei poteri: la punizione nella civiltà democratica non la commina il sovrano assoluto ma un potere autonomo che si chiama magistratura. Ma c’è un di più che riguarda la storpiatura della civiltà lessicale, partendo da una comunicazione politica che oggi sembra dover parlare non alla testa ma solo alla pancia del popolo. Sì, è vero, Trump parla come gli amici al bar, come i suoi follower sul suo social personale, che sono un allargamento del bar all’ennesima potenza, ma questo lessico è in sé l’accoglimento della politica nell’area del marketing commerciale e la negazione della funzione pedagogica del discorso democratico. Perché la funzione della politica non è quella di assecondare i gusti del pubblico, secondo il criterio di Ponzio Pilato che, pur essendo convinto dell’innocenza del Cristo, accoglie il responso della folla che lo vuole crocifisso, consentendo che venga perpetrata un’ingiustizia. La politica deve indicare obiettivi compatibili con i principi che regolano il patto tra cittadini e istituzioni e agire, in uno scambio dialogico continuo, per il bene comune. Non secondando i basic instinct della gente. O almeno ciò che i sondaggi disegnano come orientamento prevalente. Ci sono altri effetti collaterali con la contaminazione del lessico della politica con l’argot da bullo rubato a qualche rapper del Bronx: uno, assai pericoloso, è l’infezione del linguaggio delle istituzioni e della diplomazia. Ciò che nelle istituzioni può talvolta apparire, infatti, un linguaggio paludato, elusivo, burocratico, in realtà è spesso, invece, il lessico della prudenza, dettato dalla consapevolezza che le parole hanno un peso e che si fa una fatica immane e non sempre con buoni esiti a tornare indietro, a correggere e a ripristinare: nescit vox missa reverti, diceva Orazio. Il pericolo maggiore? Con l’egemonia della comunicazione digitale – peraltro assai in auge nella politica e nelle istituzioni – la semplificazione agevola il lessico cruento, riproducendo un po' dappertutto lo schema, per così dire, trumpiano, che, come si è visto, non è solo involucro per le parole ma con le parole costruisce un pensiero, un modo d’essere, una nuova realtà. Che si diffonde velocemente nel mondo. Anche nella nostra piccola Italia della politica, sempre più prossima al modello americano.