Secondo gli ultimi dati Istat, il tasso di occupazione femminile è pari al 49 per cento - lontano dal 60 per cento fissato nella strategia di Lisbona (2000) - nonché minore di circa 18 punti rispetto al tasso di occupazione maschile (68,7 per cento).

La relazione sul bilancio di genere del ministero dell'Economia ha di recente delineato vari profili delle diseguaglianze nel lavoro. E il Covid-19 le sta peggiorando.

Sulle disparità si sofferma la Commissione europea nelle raccomandazioni per il Semestre 2020, affermando che la ripresa deve «tener conto delle questioni di genere e attenuare l'impatto sproporzionato della crisi sulle donne». Il Consiglio europeo, riguardo al quadro finanziario pluriennale (2021-2027), rileva la necessità che i programmi «contribuiscano alla parità tra donne e uomini».

Le buone intenzioni

Queste premesse spiegano la ragione per cui la legge di Bilancio 2021 intende raddoppiare lo sgravio contributivo per l’assunzione di donne, portando al 100 per cento (limite massimo di 6.000 euro annui) quello previsto dalla cosiddetta legge Fornero (l. n. 92/2012).

L’agevolazione, in via sperimentale per il biennio 2021-2022, è riconosciuta per l’assunzione di donne di ogni età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, se residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti dei fondi strutturali Ue; o prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi, ovunque residenti.

Lo sgravio è subordinato a un incremento occupazionale netto, calcolato secondo le indicazioni della legge.

Insomma, non basta licenziare un uomo e assumere una donna al suo posto.

L’agevolazione fiscale 

La misura è mossa dall’intento migliore: aumentare l’occupazione femminile. Ma una valutazione ex ante fa emergere perplessità circa la sua efficacia, in assenza di condizioni essenziali.

Se con l’agevolazione fiscale le imprese saranno disponibili ad assumere più donne - costa meno che assumere uomini - ci saranno più donne disponibili a lavorare? In altri termini, a una maggiore domanda di lavoro femminile corrisponderà un maggiore offerta di tale lavoro?

Se ne dubita, specie in presenza di figli piccoli, fattore importante nelle scelte, come dimostrano le evidenze relative alle condizioni che rendono le donne più propense a lavorare.

Il tasso di occupazione femminile è maggiore nelle regioni dove c’è una più estesa copertura di asili nido.

In Valle d’Aosta, con una copertura di oltre il 47 per cento, il tasso di lavoro delle donne è pari a circa il 69 per cento; in Umbria, ove la copertura è di circa il 41 per cento, il tasso di lavoro è pari al 59 per cento circa; mentre in Campania, con una percentuale di copertura inferiore al 9 per cento, il tasso crolla a circa il 32 per cento, e percentuali simili presentano Sicilia e Calabria, agli ultimi posti fra le regioni (dati Openpolis).

Dunque, esiste una correlazione positiva fra presenza di asili nido e occupazione femminile. Questa conclusione trova conferma nella Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri (Ispettorato Nazionale del Lavoro), la quale ogni anno attesta che gli scioglimenti di rapporti di lavoro riguardano le donne in maniera predominante (nel 2019, il 73 per cento dei casi) e sono per lo più motivati dalle difficoltà di conciliare l’impiego con la cura della prole.

La mancanza di strutture per l’infanzia – oltre che di flessibilità oraria e di altre misure di work life balance – ha un peso decisivo sulla scelta delle donne di non lavorare.

Ma solo 4 regioni (Valle d’Aosta, Umbria, Emilia Romagna e Toscana) rispettano l’obiettivo, fissato dal Consiglio europeo di Barcellona (2002), di fornire un’assistenza per «almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni». La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha dichiarato che il Governo potenzierà i servizi per l'infanzia. Ma la predisposizione di nuovi asili nido richiede tempo e non è, quindi, concomitante all’operatività del nuovo sgravio fiscale.

Dunque, è difficile che a un aumento della domanda di lavoro femminile da parte delle imprese possa corrispondere un aumento della relativa offerta, senza prima creare un contesto più favorevole alla conciliazione tra vita e lavoro.

Alle donne “conviene” lavorare?

Nel disegno della misura per aumentare l’occupazione femminile, si è reso più conveniente per il datore di lavoro l’assunzione di donne, senza tuttavia considerare il fatto che talora alle donne non conviene lavorare.

Ciò si verifica, ad esempio, quando non ci sono parenti di supporto nella cura della prole: la donna può lavorare solo se le viene offerta una retribuzione congrua, che cioè le consenta di acquistare sul mercato i servizi all'infanzia.

Va pure considerato il caso in cui l’aggiunta di uno stipendio alle entrate del nucleo familiare determina la perdita di vantaggi (esenzione da ticket sanitari, accesso a case popolari ecc.) legati al fatto che tali entrate siano complessivamente inferiori a una certa soglia.

Il valore dei benefici che si perderebbero potrebbe essere maggiore della retribuzione offerta: la donna, che di solito percepisce il reddito inferiore nella coppia, sarebbe indotta a rinunciare all’impiego per consentire alla famiglia di continuare a fruire di tali benefici.

Per rendere conveniente lavorare, alle donne si sarebbe potuto per esempio destinare una parte dello sgravio, invece totalmente concesso al datore di lavoro.

Insomma, i fondi investiti per aumentare la domanda di occupazione femminile rischiano di essere sprecati, se prima non si creano le condizioni per aumentare l’offerta di lavoro femminile, rendendo il lavoro non solo possibile, ma conveniente per le donne.

Peraltro, incentivare le aziende ad assumere donne in un momento di crisi, quando mancano i presupposti per creare nuova occupazione, a prescindere dal genere, rischia di depotenziare l’efficacia della misura stessa, nonché di falsare la sua sperimentazione.

E allora sorge il sospetto che si tratti di una misura di facciata, con cui il governo vuole accaparrarsi simpatie “al femminile”, senza incidere sulle disparità come e quanto serve.

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