Per capire lo stato di salute della pubblica amministrazione italiana, ma anche quanto sia in salita la strada per la transizione ecologica, occorre leggere con attenzione le 26 pagine con cui il Consiglio di Stato demolisce le proposte di semplificazione per gli interventi di bonifica dei suoli che il ministero guidato da Roberto Cingolani ha inserito in uno schema di regolamento previsto dall’ultimo decreto Semplificazioni approvato nel 2020.

Le osservazioni dell’organo consultivo sono puntuali e soprattutto impietose. Il testo proposto dal nuovo ministero rischia infatti di non produrre alcuna accelerazione dei procedimenti amministrativi, in quanto generico negli obiettivi, mancante di analisi dei problemi procedurali che si vorrebbero risolvere e di una descrizione di quelli relativi ai luoghi su cui si dovrebbe intervenire.

Viene sottolineato come manchi una spiegazione chiara «in termini di capacità della nuova disciplina a rispondere effettivamente alle esigenze che ne hanno provocato l’introduzione».

Un problema gigantesco e sottovalutato

Eppure, pochi temi come le bonifiche dei terreni inquinati dall’eredità industriale italiana hanno una valenza così importante rispetto al cambiamento che si vuole portare nel Paese con il Recovery Plan, attraverso la capacità di affrontare nuove sfide ma anche di porre mano a disastri ereditati dal passato.

I numeri sono impressionanti, le aree ricomprese nei SIN, ossia i soli siti individuati come di interesse nazionale da bonificare, sono di una dimensione pari a 171.211 ettari secondo Ispra. Quasi dieci volte il Comune di Milano e senza contare quelli di interesse regionale.

Purtroppo, è una storia di fallimenti con bonifiche mai partite, procedure lentissime e commissariamenti, opacità delle informazioni. Emblematico il caso di Bagnoli, nel golfo di Napoli, dove dal 1994 sono stati spesi 900 milioni di euro per ottenere ancora nulla.

Per chi vive a Gela, Taranto, Brescia e Mantova la speranza di vedere un giorno un cambiamento è sempre più difficile da tenere viva. In teoria dovrebbero essere chiare le priorità rispetto a un patrimonio così ampio e articolato su tutto il territorio nazionale: accelerare le bonifiche, con procedure e soluzioni più efficaci e trasparenti, e in parallelo iniziare a utilizzare le aree con contaminazioni ridotte per alcuni usi compatibili nelle more della bonifica, come ad esempio, l’installazione di impianti solari fotovoltaici. 
Proprio di questo secondo obiettivo dovrebbe occuparsi il regolamento in questione, per superare gli scogli normativi che impediscono ogni tipo di intervento.

Ipotesi rinnovabili

È un tema di grande attualità perché se anche solo una parte delle aree ricomprese nei SIN potesse essere utilizzata per la produzione da rinnovabili, potremmo dare risposta a uno dei problemi oggi al centro della discussione pubblica, nella querelle sulla difesa del paesaggio e delle aree agricole.

Oltretutto, accelerare questa prospettiva permetterebbe al Mite (ministero per la Transizione ecologica) di superare il paradosso per cui le risorse che il ministero mette a disposizione per installare il fotovoltaico nelle aree ex industriali bonificate vanno periodicamente sprecate, con aste senza partecipanti, perché è impossibile trovare aree che si possano candidare vista la complessità e opacità delle procedure in vigore. Il parere del Consiglio di Stato chiede di fare chiarezza proprio su questi aspetti, in modo da definire in modo non equivocabile di quali situazioni si parla, quali procedure prevedere e con quali garanzie di trasparenza e monitoraggio. 
Le bonifiche da accelerare non riguardano solo i siti abbandonati dalle grandi industrie ma anche quelli più piccoli di imprese e attività artigianali, per lo stoccaggio di combustibili e materiali, di cui è pieno il territorio italiano.

Anche per questi interventi le procedure risultano complicatissime e dai tempi incerti, tanto che anche qui di fatto si finisce per incentivare la realizzazione degli interventi edilizi in aree agricole piuttosto che affrontare procedure dai tempi e dagli esiti incerti.

Per superare questa situazione il Comune di Milano ha presentato una proposta negli scorsi giorni per rivedere iter amministrativi ridondanti, sistemi di calcolo della presenza e concentrazione di contaminanti, ma anche tecniche di intervento che di fatto sono una barriera quasi insormontabile per bonifiche che potrebbero restituire spazi da rigenerare alle città.

Vedremo se nel nuovo decreto semplificazioni, in corso di approvazione alla Camera, queste idee saranno ascoltate.

Intanto dobbiamo essere grati al Consiglio di stato per aver posto sul tavolo problemi e questioni di cui fino ad oggi nessuno si è voluto occupare seriamente. 

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