Una siccità senza precedenti e temperature che a giugno il nostro paese non aveva mai vissuto da quando esistono le misurazioni dovrebbero aver convinto anche i più scettici che dobbiamo preparare i territori a scenari che, purtroppo, diventeranno sempre più frequenti se vogliamo scongiurare conseguenze economiche e sociali disastrose.

Sono le politiche di adattamento climatico, ossia quelle che puntano a rafforzare la capacità di paesaggi, ecosistemi e aree urbane a impatti sempre più intensi dovuti al riscaldamento globale.

La Commissione europea da tempo lavora sul tema, con analisi sempre più dettagliate dei cambiamenti che potrebbero avvenire dalle aree agricole a quelle urbane, industriali e costiere, individuando i rischi più rilevanti e invitando i paesi ad attrezzarsi con piani che declinino questi scenari nei diversi territori in modo da capire dove è più urgente intervenire per evitare danni alle attività economiche e ai contesti sociali più fragili.

Perché tutti gli studi confermano che sono i più poveri a subire i maggiori impatti di ondate di caldo violente e alluvioni. In Italia possiamo contare oramai su un significativo numero di studi su questi processi, in particolare grazie al lavoro del Centro Euromediterraneo sui cambiamenti climatici, CMCC, una rete di scienziati e ricercatori universitari, che lavora ad analisi e scenari sempre più approfonditi e interessanti.

Quello che però manca è un piano nazionale che individui le priorità di intervento per rendere più resiliente il nostro paese di fronte a questi impatti, in modo da concentrare idee, progetti, risorse e farci trovare pronti al prossimo evento estremo. 

Oramai siamo rimasti l’unico grande paese europeo senza e chi sperava che la creazione di un Ministero della Transizione Ecologica e le risorse del Pnrr avrebbero cambiato questa situazione è rimasto deluso.

La conseguenza è che non riusciamo a uscire da un approccio per cui si rincorrono i problemi e si continua a spendere cinque volte più risorse per rincorrere i danni che nella prevenzione.

Se si guarda alla qualità della spesa sono tanti i cantieri aperti o programmati contro il dissesto idrogeologico ma non è chiaro se siano quelli davvero più urgenti e nelle aree prioritarie o siano stati scelti semplicemente perché “cantierabili”.

In attesa delle inondazioni

Quando tra qualche mese alle immagini dell’afa di Catania, Genova e Roma si sostituiranno quelle dell’acqua nelle strade con le auto portate via dalla violenza dei temporali i sindaci non sapranno cosa fare, a chi chiedere aiuto per provare a fermare il ripetersi di emergenze che possono smettere di essere tali.

Da tempo in Spagna, Olanda, Francia amministrazioni locali e governo lavorano assieme per cambiare approccio nelle aree urbane, a partire dalle aree e piazze più a rischio dove invece di espellere l’acqua dalle città con infrastrutture sempre più complesse, si toglie l’asfalto e si piantano alberi, si realizzano grandi serbatoi sotterranei per le acque.

In questo modo quegli spazi pubblici saranno sicuri quando arriveranno le bombe d’acqua e, invece, quando torneranno i periodi di siccità avranno scorte per innaffiare e raffrescare.

È importante questa collaborazione perché ci troviamo di fronte a processi di una scala senza precedenti e dobbiamo trovare soluzioni innovative, ad esempio per la gestione di una risorsa sempre più scarsa come l’acqua su cui ci si troverà presto a dover decidere su quale sia l’uso primario nel conflitto tra agricoltura, produzione energetica, aree urbane.

In Italia abbiamo uno storico problema di perdite della rete ma oggi dobbiamo anche ripensare il modo con cui trattiamo le acque meteoriche e quelle depurate, per come utilizzarle al posto di quelle potabili e trattenerle nei suoli urbani dove recuperare permeabilità.

Sfide così complesse non possono essere lasciate alla buona volontà e capacità di Sindaci brillanti, che ci sono, ma devono stare dentro un progetto del Paese. Che, ad esempio, non si può più attendere per gestire quello straordinario patrimonio che sono gli oltre 6mila chilometri di coste della penisola e di Sicilia e Sardegna.

L’erosione costiera in questi anni è aumentata al punto da interessare oramai il 46% dei litorali sabbiosi e la rincorriamo con blocchi di cemento sempre più grandi e costosi a difesa degli stabilimenti balneari, mentre i fenomeni di mareggiate violente e grandinate sono in costante aumento.

Oramai non esiste più dubbio che il livello dei mari crescerà anche nel Mediterraneo ed Enea ha individuato da tempo le aree che nel nostro Paese nel corso di questo secolo saranno sommerse.

La giusta scelta di Draghi di creare un nuovo ministero (Transizione ecologica) che superasse la contrapposizione tra sviluppo e tutela per affrontare le nuove sfide che la transizione ecologica ci mette di fronte ha qui uno dei suoi banchi di prova ineludibili.

La sfida è passare da una gestione ordinaria dei problemi di dissesto idrogeologico del nostro fragile Paese a una straordinaria dovuta al climate change con problemi che si sovrappongono in un Paese al centro di un Mediterraneo sempre più caldo e fragile. Quando iniziamo a occuparcene?

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