Tra i tanti riciclati di governi passati, nelle nuove nomine del governo Draghi c’è almeno una novità rilevante: il capo della polizia Franco Gabrielli che diventa sottosegretario con la delega ai servizi segreti. Quella casella aveva contribuito a innescare la crisi di governo: per due anni l’ex premier Giuseppe Conte aveva rifiutato di nominare una “autorità delegata”.

Italia viva di Matteo Renzi lo accusava, neanche troppo velatamente, di voler usare l’intelligence come strumento per consolidare il proprio potere personale. In questo duello a colpi di allusioni, alla fine Conte aveva ceduto, per togliere un argomento polemico al suo avversario, scegliendo l’ambasciatore Piero Benassi come sottosegretario pochi giorni prima che il governo giallorosso collassasse definitivamente.

Servizi poltici

Questa confusione intorno al mondo dell’intelligence ha avuto almeno due conseguenze rilevanti. La prima è aver reso oggetto di battaglia politica un comparto delicato che, per sua natura, deve rispondere soltanto a logiche di interesse nazionale invece che di parte.

Gli agenti di Aisi (servizio interno), Aise (servizio estero) e Dis (coordinamento) hanno accesso a informazioni privilegiate, possono ottenere intercettazioni telefoniche senza l’autorizzazione di un giudice, hanno facoltà, quando necessario, di commettere reati e per questo sono protetti dalle cosiddette “garanzie funzionali”. Quando il tarlo del sospetto corrode la fiducia nella loro integrità, diventa impossibile preservare la fiducia necessaria alla loro missione.

Negli ultimi mesi la “politicizzazione” dell’intelligence ha avuto tante conseguenze spiacevoli. Dalla coda di polemiche e messaggi cifrati seguita all’arresto di Cecilia Marogna, sedicente mediatrice con sequestratori internazionali per conto del Vaticano che si vantava dei contatti con i vertici dei servizi, fino alla gestione pasticciata del rilascio dei pescatori libici catturati dal generale Haftar in Libia.

Per non parlare del Copasir, il comitato di vigilanza parlamentare sull’intelligence, che si è trasformato in una specie di tribunale segreto chiamato a giudicare un po’ tutto, dalle acquisizioni da parte di società straniere alla sicurezza delle forniture vaccinali.

Lo stallo cyber

Lo scontro politico sui servizi segreti ha portato, durante la discussione sulla legge di Bilancio, a bloccare anche la creazione dell’Istituto italiano per la cybersicurezza.

Italia viva lo attaccava perché, diceva il partito di Renzi, quel progetto era parte del tentativo di Conte di consolidare il proprio potere personale: l’Istituto avrebbe avuto soldi, autonomia e competenze per dare una regia pubblica al settore cruciale della cybersicurezza, dove si muovono tanti soldi e competenze.

Poiché il capo del Dis, Gennaro Vecchione, era uno degli uomini di fiducia di Conte, Renzi ha fatto di tutto per far saltare la norma. Che è sparita insieme a Conte, al fulmineo sottosegretario Benassi e a tutto il resto del governo giallorosso.

In realtà è dal 2017 che si cerca di dare un assetto diverso alla cybersicurezza, che è consideratala prima minaccia alla sicurezza nazionale, un tempo affidata soltanto al consigliere militare di palazzo Chigi. Basti pensare alle questioni relative al 5G e allo scontro geopolitico che c’è intorno a quella tecnologia e ai rapporti con i fornitori cinesi, primo fra tutti Huawei.

Oggi molte competenze sono già al Dis – dopo i tentativi di Matteo Renzi di affidare quelle mansioni all’amico Marco Carrai e alla sua società Cys4 della quale, guarda un po’, l’ex premier è poi diventato consulente – e l’Unione europea spinge per la costruzione di centri nazionali dedicati al settore che si interfaccino col nascente Centro di competenza europeo di Bucarest.

Ora sta per essere pubblicato il regolamento europeo che impone ai governi di connettere i loro centri cyber nazionali con quello europeo e l’Italia ha semplicemente rinviato il problema di qualche mese, così da trovarsi già in ritardo.

Il prefetto Franco Gabrielli ha il compito di riportare un po’ d’ordine in un comparto che dovrebbe operare come minimo con discrezione, ma soprattutto dentro il perimetro di un mandato condiviso. Gabrielli conosce l’intelligence, ha guidato il Sisde (il nome dell’Aisi prima della riforma del 2007), ma il mondo è molto cambiato: allora, nel 2006, il pericolo maggiore era il terrorismo islamico, sull’onda lunga dell’11 settembre 2001.

Oggi le grandi questioni sono la Cina, il 5G e la sicurezza dei dati e delle piattaforme. Il primo passo per garantire la sicurezza che l’intelligence promette è sottrarre materie così delicate alla polemica quotidiana tra i partiti.  

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