Shock o rito di passaggio? Se scoppia la bolla dell’intelligenza artificiale

Partiamo dai dati: secondo le ultime stime, nel primo semestre del 2025 OpenAI ha generato ricavi per 4,3 miliardi di dollari ma ha accumulato 13,5 miliardi di perdite. Se la situazione fosse confermata anche nel secondo semestre, la società che sviluppa ChatGpt potrebbe chiudere l’anno con un bilancio in rosso di 27 miliardi. Lo scenario non cambia se si osservano le altre più note startup del settore: Anthropic dovrebbe accumulare 3 miliardi di perdite nel 2025 (con 4 miliardi di ricavi), mentre Perplexity spende circa il doppio di quanto incassa. Nella Silicon Valley non se la passano meglio: nel 2025, Meta, Amazon, Google, Microsoft e Tesla spenderanno in intelligenza artificiale qualcosa come 560 miliardi di dollari, incassandone però soltanto 35. Operare in perdita oggi non sarebbe un problema, se ci fossero all’orizzonte degli immensi ritorni. Ma c’è un problema: come ha rivelato una citatissima ricerca dell’MIT, il 95 per cento dei progetti di integrazione aziendale dell’intelligenza artificiale generativa non ha prodotto nessun ritorno economico, facendo dubitare che davvero l’Ia possa generare la crescita promessa. In classe con ChatGpt, ecco la generazione Intelligenza artificiale Scoppi improvvisi? Il fatto che gli immensi investimenti in questa tecnologia stiano venendo accompagnati da prestazioni deludenti fa temere che una colossale bolla finanziaria sia in procinto di scoppiare. Dal punto di vista dei miliardari della Silicon Valley, tutto ciò non rappresenta necessariamente un problema. Anzi, le bolle finanziarie vengono considerate quasi un rito di passaggio. Da un certo punto di vista, è proprio così: uno studio accademico del 2018 ha esaminato 51 innovazioni tecnologiche dal 1825 a oggi (comprese l’elettricità e le ferrovie), scoprendo che ben 37 di esse sono state accompagnate da bolle finanziarie di varie dimensioni. Non solo: per le grandi società del settore, lo scoppio di una bolla è anche l’occasione – come avvenuto con il crollo delle dot-com di 25 anni fa – per fare piazza pulita di un gran numero di concorrenti e spartirsi il mercato tra i sopravvissuti. Che ricadute avrebbe, invece, lo scoppio della bolla dell’intelligenza artificiale sulla società nel suo insieme? Sotto l’aspetto finanziario, l’impatto sarebbe enorme: dal 2023 a oggi, oltre metà della crescita dell’indice S&P 500 – che misura l’andamento delle 500 principali società quotate a Wall Street – è giunta dalle sette più grandi aziende tecnologiche (Meta, Apple, Amazon, Google, Tesla, Nvidia, Microsoft), tutte molto esposte sul fronte dell’intelligenza artificiale. Se la fiducia nei confronti dell’Ia e della sua capacità di generare immensi futuri ritorni dovesse incrinarsi, il tonfo potrebbe essere spettacolare: durante la bolla delle dot-com, l’indice S&P 500 crollò quasi del 50 per cento e impiegò 13 anni prima di tornare ai valori precedenti. Questa volta, però, le ricadute potrebbero essere ancora più gravi. Come ha segnalato l’economista Paul Kedrosky, una delle ragioni per cui l’economia statunitense è stata in grado di reggere il colpo delle tariffe volute da Trump, e del clima generale di grande incertezza, è perché gli investimenti in intelligenza artificiale «hanno funzionato come un enorme programma di stimolo del settore privato». Un crollo dell’intelligenza artificiale porterebbe a meno investimenti, meno posti di lavoro e a una crescita più lenta dell’economia statunitense, con ricadute globali che potrebbero essere simili a quelle viste durante la Grande Recessione del 2008. Allarme rosso: anche l’economia dice no all’agenda di Trump Le conseguenze possibili Andrà davvero così? Secondo un’analisi dell’Economist, sono tre i fattori che incidono maggiormente sulle conseguenze di una bolla finanziaria: quanto la politica l’ha favorita (tramite incentivi o regolamentazioni), quanti soldi sono stati investiti e chi si dovrà far carico delle perdite. Seguendo questi indicatori, ci sono buone e cattive notizie: per quanto il boom dell’intelligenza artificiale sia di origine tecnologica e non politica, negli ultimi mesi c’è stato un grande coinvolgimento dell’amministrazione Trump (per esempio, tramite il grande progetto di infrastruttura di calcolo battezzato Stargate), mentre alcuni dirigenti di OpenAI hanno iniziato a ventilare la possibilità di un “supporto governativo” per coprire le immense spese legate alla costruzione dei data center. La dimensione degli investimenti in intelligenza artificiale rispetto al pil degli Stati Uniti è invece abbastanza contenuta: circa il 3-4 per cento negli ultimi quattro anni (poca cosa rispetto al 15-20 per cento degli investimenti in ferrovie britanniche della metà dell’Ottocento). Allarme rosso: anche l’economia dice no all’agenda di Trump Infine, c’è la questione di chi dovrà farsi carico dell’eventuale scoppio della bolla: dal momento che le banche statunitensi non stanno finanziando direttamente il boom dell’intelligenza artificiale (i soldi provengono principalmente da grandi fondi d’investimento e dai colossi tecnologici stessi), le ricadute sociali potrebbero essere limitate. C’è però un altro aspetto da prendere in considerazione: l’esposizione dei cittadini statunitensi al mercato azionario non è mai stata tanto elevata, raggiungendo il 30 per cento del patrimonio netto delle famiglie. «Preferisco bruciare qualche centinaio di miliardi di dollari, piuttosto che rischiare di perdere il treno della superintelligenza artificiale», ha recentemente affermato Mark Zuckerberg, al comando di un’azienda – Meta – che nel solo 2024 ha guadagnato oltre 60 miliardi di dollari. Per i comuni mortali, affrontare lo scoppio di un’enorme bolla speculativa potrebbe però non essere così semplice.