Ad Alessandra Samira Mangoud si è fermato il cuore il 20 Febbraio 2009, è morta senza avere la cittadinanza del suo paese: l'Italia. Era una ragazza allegra, caparbia, leale. Si era impegnata affinché il suo paese riconoscesse come propri i tanti figli di migranti nati e cresciuti in Italia come lei. Collaborava con la rete G2 seconda generazione, associazione di figli di migranti stanchi di vivere come stranieri nella loro nazione.

Madre filippina, padre egiziano, Samira era romana ma è morta senza cittadinanza: nei suoi 29 anni di vita non ha mai votato, non ha mai avuto il passaporto della sua terra natia, non ha mai potuto dimostrare di essere italiana anche se lo era. Sono passati undici anni e la riforma della cittadinanza promessa non è mai arrivata. Da destra hanno fatto ostruzionismo alla riforma della legge sulla cittadinanza. A sinistra solo dichiarazioni, al momento di passare all’atto pratico tutti hanno preferito tradire le aspettative di generazioni di figli di migranti speranzosi in un cambiamento piuttosto che rischiare qualcosa.

Mi chiedo cosa avrebbe detto Samira di quello che succede oggi: un calciatore del Barcellona nato in Uruguay, Luis Suárez, probabilmente otterrà in poche settimane una cittadinanza che tanti figli e figlie della migrazione otterranno in quattro anni. Altri non l’avranno mai. La polemica social sulle pratiche per consentire alla Juventus di tesserare Suarez come italiano, aggirando il tetto agli ingaggi di giocatori extracomunitari, dura da giorni. Mi ha colpito in modo particolare il tweet di Fatjona Lamçe, cresciuta in Italia e che ha rischiato in passato di essere rimandata in Albania con un foglio di via: «La storia della cittadinanza a Luiz Suárez in 15 giorni ci insegna che quello è il tempo necessario per fare le verifiche richieste e completare l'iter. E che la scelta di metterci 4 anni è una scelta politica». Ha ragione Fatjona Lamçe, lei che oggi ha marito e due figli italiani ed è l'unica senza cittadinanza in famiglia.

La mancata riforma della cittadinanza che ha distrutto la vita ai figli e figlie della migrazione, con la burocrazia, con cavilli, con attese estenuanti è una precisa scelta politica. Così come è una scelta quella di trattare alcune persone come cittadini con diritti e altre come suddite. È stata una scelta anche lasciar morire Samira senza la cittadinanza del suo paese.

Sono decisioni dettate da una visione ristretta di italianità, una visione stereotipata che vuole l’essenza della nazione nel sangue o nella fama, come nel caso di Luis Suárez. Invece dovremmo sapere che il paese è di chi lo vive.

Non chiedo di abolire ogni legame di sangue con gli antichi emigranti (la moglie di Suárez è figlia di un cittadino italiano e dunque è italiana), ma è ora che l'Italia, soprattutto se si vuole proiettare nel futuro, si doti anche di un diritto di suolo e accetti finalmente di essere un paese plurale.

La vera notizia sarebbe questa e non se Luis Suárez andrà o meno alla Juventus.

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