Il dibattito sul trattamento dei lavoratori della Gig Economy si sta facendo caldo in tutto il mondo e riguarda il trattamento remunerativo e l'inquadramento lavorativo di tutti i lavoratori che operano nel mondo delle consegne a domicilio e più in generale dei servizi on demand come Uber. 

L'Italia, come ha fatto notare l'Economist, è uno i campi di battaglia importanti su questo tema, a causa delle recenti pronunce di tribunali italiani in favore dell'obbligo di riconoscere questi lavoratori come dei lavoratori dipendenti.

Un altro evento che ha segnato l'importanza di questo tema è il crollo in borsa, subito dopo la quotazione, di Deliveroo, proprio a causa del fatto che molti investitori istituzionali non hanno partecipato al collocamento, vedendo dei rischi nell'azienda in relazione al possibile cambiamento della normativa sul trattamento di lavoro dei suoi dipendenti.

A decidere siamo noi

Le aziende del settore difendono la loro posizione, dicendo che sono in perdita e che stanno offrendo agli utenti un ottimo servizio ad un prezzo molto conveniente. Ma al dibattito in corso manca un elemento molto importante, ed è proprio quello del prezzo a cui servizio di consegna viene erogato: di fatto questo prezzo è una sovvenzione al consumatore che viene permessa da due elementi: il basso costo del lavoro e l'elevata valutazione delle aziende che sono premiate, nel loro valore, sul loro tasso di crescita, nella speranza che, quando avranno grandi volumi di consegne, potranno diventare profittevoli. 

Siamo quindi nella assurda situazione che consumatori e investitori si stanno avvantaggiando sulla pelle dei lavoratori. 

Questo è l'elemento chiave che manca nel dibattito, ed è anche quello che va affrontato per risolvere il tema delle condizioni di lavoro di queste persone. 

Tra l'altro il tema non è più rinviabile, poiché la crescita delle consegne a domicilio e dei lavori on demand è stata accentuata dalla pandemia, ma non si arresterà con la fine del Covid. Il numero di questi lavoratori continuerà a crescere, ed essi costituiscono ormai il vero proletariato del XXI secolo. 

Le consegne a domicilio, e più in generale i servizi offerti on demand sono un grande vantaggio per i consumatori, ed è assurdo e ingiusto che essi non paghino correttamente tali servizi. La soluzione del problema non può che passare attraverso condizioni di lavoro più adeguate, con un incremento di costi che dovrà essere sostenuto dai consumatori. 

Il costo delle consegne a domicilio e’ assai basso e un incremento di 1 o 2 euro per ogni consegna può essere largamente sopportato dalla maggioranza dei consumatori. Anzi dovrebbero proprio essere i consumatori, che spesso si indignano per le condizioni di questi lavoratori, a essere consapevoli che sono parte in causa di questa situazione e che è loro responsabilità premere nella giusta direzione: questi servizi sono comunque un ”piccolo lusso” e devono essere adeguatamente pagati. 

Non è quindi più solo una partita sindacale, ma una vera messa in discussione di un intero modello che, grazie alla finanziarizzazione del sistema, permette ad alcuni di trarne vantaggio, sia come consumatori, sia come investitori. 

L'azione dei sindacati rispetto a queste tematiche appare ancora troppo legata a schemi del passato; va fatta una battaglia che chiarisca l'intera tematica del problema e la metta con chiarezza di fronte all'opinione pubblica.

Molti di coloro che usano questi sevizi devono pensare a come reagirebbero se un loro figlio fosse trattato cosi’ sul posto di lavoro.

Le aziende tendono a vezzeggiare i consumatori per difendere la loro posizione, mentre è arrivato il momento di essere solidali con i lavoratori per una società piu’ civile e piu’ equilibrata.

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