I dolori di Starmer e i sintomi morbosi del partito laburista

La settimana era cominciata con il rilancio della cosiddetta “fase due” del governo Starmer ed è finita con le dimissioni della vicepremier Angela Rayner e un rimpasto che par più essere un giro di sedie che una svolta. Un rimpasto che spinge il governo a destra: sempre più a destra. Lo dimostra anche la cronaca: sabato 7 settembre quasi 900 persone arrestate per aver manifestato pacificamente a favore della “solita” organizzazione pro-palestinese considerata dalla nuova legge un gruppo terroristico. Ma è evidente che ormai il genocidio a Gaza – parola che i laburisti fanno ancora molta fatica a pronunciare – non è il vero terreno del contendere. In gioco ci sono la storia del partito e della democrazia britannica, l’eredità del socialismo inglese e la visione di un futuro che sia “fuori o dentro” quella tradizione. Un primo ministro esce sempre indebolito da un rimpasto: si crea nuovi nemici e conferma quali fossero i suoi punti deboli. Keir Starmer, costretto suo malgrado ad accelerare i tempi, si trovava in una posizione estremamente fragile: oltre undici punti di svantaggio nei sondaggi rispetto a Reform; un partito litigioso che deve ancora completamente metabolizzare la scissione a sinistra di Corbyn e Zarah Sultana; una crescente disaffezione elettorale e sociale. Si potrebbe quasi solidarizzare. Macron, Merz e Starmer, tre giganti dai piedi d’argilla Ma la situazione è drammatica e seria: la sua vice, alleata cruciale nel contenere la sinistra del partito, è stata costretta a dimettersi per non aver pagato 40mila sterline di tasse sulla seconda casa. Certo, non l’avidità dei conservatori che avevano speculato sulla pandemia, non la sfacciataggine del leader di Reform, Farage, che ha fatto del sistematico eludere le tasse un tratto del suo presentarsi come abile uomo d’affari. Quella di Rayner è stata una leggerezza, sicuramente in buona fede, ma tanto più grave perché commessa da lei: una donna con una storia personale difficile tradottasi in lotte politiche e sociali “a sinistra” che – ironia della sorte – oltre ad essere vicepremier era anche ministro per la casa. E qui si intravede un primo “sintomo morboso”: l’erosione dell’ethos pubblico. Anche un politico di sinistra all’apice della carriera sembra non distingue più tra integrità privata ed etica politica. È il segno di una crisi civile profonda, di un paese dove l’individualismo ha divorato – anche a sinistra – il senso del collettivo e del pubblico. Il rimpasto ha sancito la metamorfosi: il nuovo ministro dell’Interno, Shabana Mahmood, esponente di punta dei “Blue Labour” – che combinano richiami comunitaristi e valori socialmente conservatori a politiche economiche di sinistra – ha come unico obiettivo quello di riprendere il controllo dei confini del paese e la chiusura degli hotel per i richiedenti asilo; parole sue. Il secondo “sintomo morboso”: la repressione amministrativa del dissenso dove le normative antiterrorismo diventano strumenti burocratici per gestire la protesta. Non servono proclami: basta la normalizzazione dello stato d’eccezione. Le dimissioni di Rayner hanno coinciso con l’apertura del congresso annuale del Trade Union Congress. I sindacati tornano in movimento mentre nell’opposizione interna del Labour crescono i malumori. Il nuovo partito di Corbyn, di cui non sappiamo ancora il nome, difficilmente avrà un futuro, ma resta una minaccia: non per governare, ma per dividere il voto a sinistra. È il terzo sintomo: una sinistra che si auto-dilania. Lo scandalo casa abbatte la vice di Starmer. Al suo posto Lammy, ma fa festa solo Farage Mentre Starmer vacilla, Reform fiuta il sangue e appare inarrestabile. I conservatori, ormai ridotti a comparsa, hanno una leader patetica che formalmente resta capo dell’opposizione ma politicamente non conta più nulla. Quarto sintomo: una destra populista che prospera per il vuoto del sistema politico tradizionale. Quanto questa crisi rappresenti concretamente quell’interregno che produce mostri, dove “il vecchio muore e il nuovo tarda a comparire” evocato da Antonio Gramsci è forse un azzardo. Ma i sintomi ci sono tutti: la crisi dell’ethos pubblico, la repressione burocratica, la frammentazione della sinistra, la normalizzazione dell’odio per il diverso. Segnali di una trasformazione strutturale. È proprio in questo chiaroscuro che le democrazie si disfigurano: scivolamenti impercettibili, lenti, burocratici. L’interregno non durerà per sempre. Ma ciò che nascerà al suo posto è impossibile da prevedere.