Benjamin Netanyahu ha annunciato l’operazione di terra su vasta scala, che significa, tradotto, l’occupazione della Striscia di Gaza. Si porta come corollario l’ennesimo spostamento di centinaia di migliaia di palestinesi come fossero pacchi postali, il loro destino da 19 mesi a questa parte.

Il tutto mentre gli aiuti umanitari sono fermi ai confini, le agenzie dell’Onu stimano che almeno 66mila bambini soffrono di gravi forme di malnutrizione e le persone di regola consumano un pasto ogni 2-3 giorni. In aggiunta il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, uno dei falchi ed espressione dei coloni, sostiene raggiante che finalmente si può parlare della completa distruzione di Gaza, i civili verranno radunati da qualche parte a sud della Striscia e da lì cominceranno a partire «in gran numero» verso paesi terzi.

Addio valori condivisi

Persino mentre si scrivono, queste notizie sembrano inverosimili, il frutto di un’allucinazione collettiva, perché significano la cancellazione pervicace e totale di qualunque regola alla base della convivenza civile, di ogni valore condiviso che aveva segnato un cammino dell’umanità. E invece «finalmente», nell’idea di Smotrich si può dire apertamente quanto prima risultava indicibile, cioè invocare l’avverarsi del sogno messianico per cui «torneranno i figli d’Israele nella loro terra senza essere più scacciati» (profeta Amos).

Una terra, beninteso, che va dal Mediterraneo al Giordano e sulla quale nessun altro ha diritto di cittadinanza. Dunque, a fine percorso, un solo Stato per un solo popolo. Era un incubo fino all’altro ieri la possibilità che i paesi arabi riuscissero prima o poi a eliminare lo Stato ebraico. Sta diventando realtà l’opposto, nella sconsolante impotenza della cosiddetta comunità internazionale.

Netanyahu e Smotrich e i loro sodali si esibiscono in queste farneticazioni, che purtroppo non sono tali ma l’affresco esatto della situazione, e lo sventurato ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani persino un po’ scocciato a domanda di come reagirà il nostro governo risponde: «Aspettiamo, vediamo un po’ che succede». Come se dopo oltre 50mila morti ci fosse bisogno ancora di aspettare e vedere. La Francia s’indigna, la Cina pure, la Ue deplora e si continua a proiettare lo stesso film, ora alludendo a un finale persino peggiore della sceneggiatura horror fin qui scritta.

Eravamo tutti ebrei il 7 ottobre. Lo siamo stati anche dopo giudicando logica una risposta militare ad Hamas. Fino a doverci rendere conto a poco a poco che il 7 ottobre altro non era diventato se non il pretesto per il governo di Israele di poter sterminare qualunque palestinese perché tanto a Gaza sono “tutti terroristi”, dunque “tutti colpevoli” dagli infanti ai novantenni, nella valutazione non di qualche passante ma di ministri dell’esecutivo la cui linea ha finito per prendere il sopravvento per diventare la stella polare.

Obiezioni impossibili?

E per chi ha avuto qualcosa da obiettare era pronta, à la carte, l’accusa di antisemitismo, ovviamente odiosa. Come se Israele, in nome delle sofferenze storiche, dovesse essere emendato a prescindere da qualunque critica e potesse perseguire indisturbato qualunque nefandezza.

È ben vero che il tribunale internazionale sta cercando di perseguire Netanyahu per crimini di guerra. Ma è altrettanto vero che ci sono leader che non hanno eseguito il mandato di cattura (Orbán), altri che sarebbero felici di ospitarlo se arrivasse nel loro paese (Salvini), altri ancora che non riconoscono il tribunale e dunque non si pongono nemmeno il problema (gli Stati Uniti). Quali carte si hanno in mano, per parafrasare Trump quando ha infierito sul povero Zelensky, per non sembrare imbelli se non addirittura complici di questa soluzione aberrante?

Intanto tutti i paesi europei potrebbero imitare la Spagna, l’Irlanda e la Norvegia che hanno riconosciuto lo Stato palestinese. E sarebbe un gesto forte. Che darebbe fiato ulteriore a chi in Israele sta all’opposizione e teme l’isolamento. Già, perché in Israele esiste una società civile. Nel momento in cui il mondo, a partire dall’America, ha accettato la legge del più forte, l’unica speranza sta in una rivolta interna nell’“unica democrazia della regione”. Ma in fretta però, prima che Gaza diventi la Riviera del Medio Oriente vagheggiata da Trump.

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