Le “case green” saranno una delle partite politiche più interessanti da seguire nei prossimi anni. Ma non tanto per assistere alle prossime puntate dello spettacolo sguaiato della destra italiana in guerra contro la direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici, appena approvata dal parlamento europeo, quanto per l’innovazione profonda che si metterà in moto nel settore delle costruzioni per rispondere a tre fondamentali sfide che qui si incrociano: quelle della riduzione delle importazioni di gas, delle bollette dei cittadini e delle emissioni di CO2.

La ragione dell’attenzione posta da Bruxelles nei confronti del patrimonio edilizio costruito non dipende solo dal peso che oggi ha nelle emissioni climalteranti, ma perché per ogni euro investito il beneficio locale prodotto è maggiore rispetto a qualsiasi altro settore, con posti di lavoro non delocalizzabili. Vedremo se il governo Meloni sarà capace di superare la pregiudiziale negativa verso qualsiasi tipo di politica green, intanto potrebbe almeno cogliere la palla al balzo per uscire dal vicolo cieco in cui si trova dopo il pasticcio del superbonus e sfruttare le opportunità che l’Europa ha messo in campo di rilancio dei cantieri.

L’impatto degli edifici sul clima

L’attenzione politica e mediatica in Italia si è concentrata su un punto della proposta, quello che obbliga a migliorare le prestazioni degli edifici che dovranno essere almeno della classe E nel 2030. Se però si guarda con attenzione alle oltre 100 pagine di testo della direttiva si comprende che il vero problema per il governo riguarda il fatto che sarà chiamato a prendere decisioni, a studiare e a elaborare proposte. Perché gli emendamenti approvati in parlamento hanno reso ancora più ampie i poteri per gli stati di individuare i più efficaci percorsi di intervento, con gli edifici da escludere e le politiche per aiutare le famiglie più povere.

Ad esempio, tutti gli interventi sul patrimonio edilizio italiano costruito fino al secondo dopoguerra potrebbero essere rinviati per ragioni storiche o di maggiori costi degli interventi. Allo stesso modo si potranno escludere gli interventi su oltre 10 milioni di abitazioni non abitate, tra cui le villette che vedono la presenza di persone per pochi mesi all’anno che, oltretutto, sono state le maggiori beneficiarie delle risorse del superbonus.

Giustamente, l’Europa chiede di concentrare gli sforzi sulla parte del patrimonio più degradata, con la classe energetica peggiore, dove vivono le persone che più stanno soffrendo l’aumento dei prezzi energetici. Perché qui maggiori sono i risultati possibili sia ambientali che sociali.

Le scelte da fare

Non solo, chiede di presentare un piano per dare supporto economico e tecnico agli interventi nei quartieri e negli edifici dove vivono le famiglie più fragili, su cui far convergere risorse europee e nazionali, quelle della finanza green. Tutte questioni fino a oggi mai affrontate nel nostro paese, che ancora punta su un sistema di detrazioni fiscali per le riqualificazioni energetiche che risulta inefficace – perché non premia chi più investe in efficienza – e iniquo, perché dopo l’abolizione della cessione del credito taglia fuori sette milioni di cittadini incapienti che non hanno reddito da detrarre.

La proposta di direttiva un problema però lo apre, e molto grande, che riguarda i comuni italiani. Perché dovranno entro il primo gennaio 2027 avere tutti i propri edifici almeno in classe E, con il solare fotovoltaico installato sui tetti di scuole, uffici, case popolari. Il paradosso è che a loro è affidata la gestione del patrimonio di gran lunga più vasto ma senza le risorse necessarie per intervenire. Nel comune di Roma ci sono 1500 scuole, a Milano oltre 60mila alloggi di edilizia pubblica, ma qualcuno può pensare che il problema sia dei sindaci Gualtieri e Sala e che non chiami in causa il governo? Gli enti locali fanno fatica a chiudere i bilanci per l’esplosione delle bollette energetiche ma al contempo non hanno la possibilità di avviare investimenti capaci di abbattere i consumi.

La beffa è che oggi sarebbe possibile in larga parte degli edifici pubblici azzerare i consumi di gas con un mix di autoproduzione da solare fotovoltaico e comunità energetiche, cappotti termici e pompe di calore. In quella contestata proposta c’è scritto che per questo tipo di interventi il contributo di Bruxelles è garantito, ma serve un progetto condiviso tra le grandi città e un governo che potrebbe così dimostrare di essere capace di governare processi complessi, come quelli che riguardano la transizione ecologica.

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