Caro direttore, avverto la necessità, in quanto professore di Diritto romano, di scrivere qualche riga a proposito dell’articolo firmato da Davide Maria De Luca, pubblicato su Domani, a proposito di La caduta di Roma e i barbari del Ministro: lezione su come non strumentalizzare la storia.
Non sono certo io a dover prendere le difese del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara; sa farlo benissimo da sé.

Il diritto romano, però, necessita dei riguardi che gli competono, perché, piaccia o non, è il fondamento del nostro sistema giuridico. E questo è un fatto incontrovertibile.
Ora, mi pare che l’articolo più che una riflessione sui contenuti del testo scritto da Valditara, sia un commento al titolo datogli da Il Giornale.

È sufficiente aprirne le prime pagine per rendersi conto che quel titolo (L’impero romano distrutto dagli immigrati) è certamente poco felice; come poco felice è la critica che tratta in modo emozionale argomenti che meritano altro tipo di attenzione.

Per quanto mi riguarda, non so se Valditara abbia fatto “marcia indietro” o si sia trattato di “una ritirata tattica” o di “un sintomo delle difficoltà del governo” e, francamente, non mi interessa.

Quel che so è che il testo di Valditara è basato su concetti giuridici e storici che trovano una delle migliori sintesi in quel che l’autore ha scritto nella pagina dieci, ove si può leggere: «La grandezza di Roma sta nell’aver saputo integrare e amalgamare popoli fra di loro molto diversi, traendo sempre dalle commistioni influssi benefici. Ancora una volta con pragmatismo e concretezza».
È questo il Diritto romano che conosco e che conosce Giuseppe Valditara. Lo so, perché conosco il suo pensiero e conosco i suoi scritti.

E se a qualcuno non sta bene che il mondo romano a un certo punto non sia stato più capace di governare quelle integrazioni, posso consigliare la (ri)lettura delle fonti antiche, piuttosto che la frequentazione delle (sole) letture di commento.
A tal proposito, posso segnalare il De reditu di Rutilio Namaziano, certamente nella versione tradotta dal latino, dove si descrivono le rovine di quello che era stato un impero; e Namaziano, che se la prende con barbari e cristiani, ebbe a scrivere quell’opera poco dopo il ‘sacco’ di Roma dell’anno 410.
E a proposito di quel ‘sacco’ che, sia detto per inciso, non fu certo compiuto da romani travestiti da barbari, posso segnalare anche le Lettere di Girolamo e Prospero di Aquitania. E i due autori quei fatti li vissero ‘in diretta’, come si dice.

La lettura del testo di Valditara; non è una fonte, come la intendiamo noi giuristi con sensibilità storica, ma è basato sulle fonti, quelle antiche.

Forse farà piacere leggere frasi come questa: «I Romani non avevano paura di arricchire la propria identità». E già, è proprio così: non avevano paura di un’identità che riconducevano ad Enea, un migrante che fuggiva dalla guerra (perduta).

E forse è proprio per questo che sentivano di essere un modello, un "mondo” che si avvaleva di tanti contributi e forse è anche per questo che l’uomo, ancora oggi, va alla ricerca delle cause che portarono quel mondo alla rovina.

Rovina, si badi, non perdita, perché quel mondo è stato capace di produrre un diritto, sicuro fondamento del nostro odierno sistema giuridico che, non a caso, si chiama Roman Law.
Infine, non so se il ministro abbia bisogno di lezioni, ma so per certo che non ne ha bisogno il Collega, il quale, come tutti noi che ci occupiamo di Diritto romano, non ha paura della storia, non si diletta a strumentalizzarla e neppure si nasconde (dietro a un dito): «Gli immigrati faranno fare a Roma un decisivo salto di qualità». E questo l’ha scritto il professor Giuseppe Valditara, ministro della Repubblica Italiana.

© Riproduzione riservata