Sta purtroppo scendendo la notte sulla generazione che è stata protagonista della seconda metà del Novecento. Ieri, a Gallarate, ha chiuso gli occhi Bartolomeo Sorge, punta di diamante dei gesuiti italiani, studioso di scienze sociali e noto politologo.

Aveva 91 anni. Ricordarlo fa ritornare alla mente le parole dello scrittore Marc Levy: «Le rughe della vecchiaia formano le più belle scritture della vita, quelle sulle quali i bambini imparano a leggere i loro sogni». 

Bartolomeo Sorge è stato un galantuomo, colto e deciso. La sua vita e le sue idee - rispettate anche dai suoi tanti avversari - rimarranno una provocazione e un’eredità nella memoria del Paese.

Qui ci limitiamo a far emergere tre dei suoi tratti caratteristici: la fedeltà alle scelte fatte, la tenacia delle idee, la speranza nella vita che vince ogni paura di morte.

Nasce il 25 ottobre 1929 a Rio Marina nell’Isola d’Elba, a soli 17 anni sceglie di diventare gesuita. È il 10 ottobre 1946 quando entra nel noviziato a Lonigo. Da allora rimane fedele alla sua scelta e, come l’oro nel crogiolo, vive le dure prove per diventare gesuita.

Studia filosofia, dal 1953 al 1955 insegna greco, storia e geografia al ginnasio nel seminario di Roncovero, poi viene inviato a Comillas, in Spagna, per studiare la teologia. Lì si distingue come il migliore gesuita, sostiene la sua dissertazione pubblica in latino e, il 15 luglio 1958, viene ordinato sacerdote.
Nel 1959 è a Firenze, l’anno successivo arriva a Roma come docente di diritto sindacale alla Pontificia Università Gregoriana e scrittore della Civiltà Cattolica.

Dal 1979 al 1985 diventa il direttore della rivista, sostituendo il padre Roberto Tucci. È uno dei figli maturi del Concilio Vaticano II, con lui la rivista diventa lo strumento di formazione per un’intera classe dirigente del Paese, legata al filone culturale del cattolicesimo democratico.

Quel tempo lo ha ricordato così: «Facemmo la nostra interpretazione montiniana del Concilio, caratterizzata dal primato del dialogo in tutte le sue forme (intraecclesiale, ecumenico, interreligioso, interculturale) e dal metodo della mediazione culturale nel rapporto tra fede e storia».

Dialogo e mediazione, sono questi i suoi due insegnamenti. Per questo è tra i consiglieri più stretti di Paolo VI, che gli chiede aiuto per redigere la lettera apostolica Octogesima adveniens. 

È il tempo in cui, insieme al gesuita argentino Bergoglio, appoggia la svolta del padre Pedro Arrupe, il Papa nero dei gesuiti, che porta la Compagnia sul crinale del «servizio della fede e la promozione della giustizia». La loro visione anticipa di 30 anni una nuova stagione della Chiesa.    

Giornalista professionista, per una decina di anni accompagna i giornalisti dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) come consulente spirituale. Per Sorge la comunicazione è stata comunione. «Comunicando uno si comunica e disvela il profondo», mi diceva sempre.

La sua linea dottrinale e pastorale alla guida della Civiltà Cattolica ha ispirato l’impegno di una concreta “rifondazione” del movimento cattolico in Italia, sul piano sociale e politico. Questa spinta pastorale ha avuto un’eco significativa nel primo grande convegno nazionale della Chiesa italiana su Evangelizzazione e promozione umana (Roma, 1976) e successivamente ispira, a livello nazionale, l’iniziativa di «ricomposizione dell’area cattolica» che tutte le associazioni cattoliche mettono in atto insieme. 

La rottura con Giovanni Paolo II

Poi la tempesta. Il Pontificato di Giovanni Paolo II è per Sorge un tempo complesso. Scrive in un suo inedito: “L’elezione di Giovanni Paolo II, con la sua visione militante della Chiesa, e la presa di distanza prima dell’Azione Cattolica e poi di Comunione e Liberazione posero fine a quell’esperimento di dialogo e di “ricomposizione” (di chiara impostazione “montiniana”) durato oltre quattro anni. Ripensando oggi, molti anni dopo, a quanto avvenne allora, dobbiamo riconoscere che quel movimento di idee e di azione aveva in sé una sua validità e, per molti aspetti, un valore profetico. Purtroppo fu interrotto, essendo in contrasto con la nuova fase di “normalizzazione” della Chiesa, che iniziò dopo la morte di Paolo VI e in seguito alla elezione di Giovanni Paolo II.

Tra il papa polacco e lui non nasce un’intesa. Papa Luciani aveva pronta la sua nomina di Patriarca a Venezia, ma l’ala conservatrice aveva bloccato la nomina e il nuovo Papa non la riconsidera.

Sorge sceglie di non accompagnare il Papa nei suoi viaggi e, al primo ritorno in Polonia, Giovanni Paolo II si accorge della sua assenza. Quella scelta è la goccia che fa traboccare il vaso.

Nel 1985 viene mandato al Centro Studi di Palermo come direttore del centro studi sociali. Qui emergono la sua tenacia e il suo coraggio. Nell’inverno della vita Sorge fa nascere la primavera siciliana con Leoluca Orlando e padre Ennio Pintacuda, mentre è scortato perché la mafia lo minaccia di morte.

I due gesuiti si scontrano, Sorge impedisce che il centro studi diventi la sede politica della neonata Rete. Questa ferita gli sanguinerà per il resto della vita.

Nel 1996 viene mandato a Milano nella residenza di San Fedele, nel 1997 diventa direttore delle riviste Aggiornamenti Sociali e di Popoli. La sua è stata una scuola di scrittura, imparava solo chi gli stava vicino, come fanno gli artigiani quando trasmettono la loro arte agli allievi. Nel corso della sua vita ha curato e pubblicato diversi testi, articoli e saggi, dando vita ad una densa bibliografia.

Dal 2016 ha vissuto a Gallarate, dove ha imparato a usare Twitter. Aveva un cuore giovane, e i suoi occhi e il suo sorriso lo riflettevano. Nel suo ultimo tweet ha scritto: «Tanto rumore per nulla! È pacifico da tempo che i diritti personali degli omosessuali (sia singoli, sia in coppia) vanno tutelati dallo Stato. Ma l’unione civile non è matrimonio».

Un uomo profetico

Rimane un aspetto sconosciuto ai più. La sua vita spirituale gli ha permesso di essere un uomo profetico fino alla fine. Non vedeva più lontano di altri, ma più nel profondo. Si alzava a pregare ogni mattina alle 5 e per quasi due ore rimaneva rinchiuso nella sua piccola cappella.

Iniziava la colazione bevendo il succo di un limone e un cucchiaio di olio d'oliva, poi per quasi due ore ascoltava le notizie del giorno e leggeva i giornali prendendo appunti su piccoli fogli. È morto povero arricchendo chi lo ha incontrato. E così, nel suo piccolo, ha scritto la storia del nostro Paese.

In questi giorni stavo correggendo le bozze del suo ultimo volume. Lo aveva intitolato Perché l’Europa ci salverà? Dialoghi al tempo della pandemia. Voleva dire ai giovani di non smettere di sperare. Altrimenti, tutto quello che si dimentica potrebbe ritornare. 

© Riproduzione riservata