Con l’affare TikTok Trump ratifica la “sovranizzazione” di Internet

L’intesa, preannunciata da Trump sul passaggio di Tik Tok, versione internazionale dell’applicazione social cinese DouYin ratifica la “sovranizzazione” di Internet. Con la sistemazione dell’affare, tutte le piattaforme di rilevo saranno a disposizione del governo Usa per sorvegliare, spiare, sequestrare documenti a piacimento. La Cina dal suo canto applica analoghe regole di sovranità digitale impedendo l’esportazione dei dati relativi ai propri utenti. Questa è l’internet reale che smentisce i sogni anni ’90 di un’internet universale che inclinava verso il popolo la bilancia del potere di comunicare svuotando le stesse istituzioni della democrazia rappresentativa. La soggezione Europea Se il Re, con l’aiuto dell’affaire Tik Tok, è più nudo, l’Unione Europea si trova spalle al muro e deve decidere se essere sovrana o restare provincia tributaria dell’Impero digitale Usa. Ricordiamo che la situazione attuale è la seguente: Gli europei impiegano solo i servizi delle Big Tech USA per attività pubbliche e private, economiche, formative, culturali. In sostanza, ci troviamo con un cappio al collo; Tutti i dati degli europei sono raccolti in server di proprietà americana, con le ovvie e conseguenti asimmetrie di potere consentite dall’europeo General Data Protection Regulation che consente la pratica della conservazione presso uno Stato “amico”. L’andazzo è stato condannato dalla stessa Alta Corte Europea per ben due volte, ma il diritto come sempre non conta finché le convenienze non convergono. E oggi non si vede la convenienza di essere sorvegliati minutamente dagli USA trumpiani, antagonisti dichiarati dell’Europa al punto da civettare con Putin per “metterla nel mezzo”; La legislazione comunitaria ha recepito passivamente quella Usa (Decency Act paragrafo 230 del 1996) che ha sollevato da responsabilità editoriale le piattaforme, ma senza obbligarle a rendere identificabili gli utenti. Da qui il varco per le costanti campagne di fake account robotizzati e la sostanziale impunità delle canaglie da tastiera. È ovvio che nessuno di questi problemi può essere affrontato con leggi nazionali perché istituendo regole diverse è necessario costruire in parallelo servizi alternativi che possono prendere piede solo su scala continentale. L’ultimo ricatto di Trump a difesa di Big Tech: nuovi dazi se l’Ue non si piega sul digitale Una Moderata sorpresa Sorprende, che a meno di nostra distrazione, manchino iniziative che mostrino di avvertire la natura strutturale dei problemi e dei rimedi. A rompere l’effetto cloroformio ci ha sorpreso Noi Moderati che in conferenza stampa ha annunciato una proposta di legge che, citiamo dal Corriere della Sera di mercoledì 10 settembre, «prevede l’introduzione di un meccanismo di riconoscimento obbligatorio per l’ingresso nella piattaforma». Ovviamente le vicende dei siti e commenti in stile tratta-delle-bianche, con foto di mogli e deputate, ha incoraggiato questo passo che attribuiamo alle Moderate posto che alla conferenza stampa il Moderato Segretario Lupi era impacchettato fra Giusy Versace, Ilaria Cavo, Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna. Se l’iniziativa cercasse sviluppo nel Parlamento europeo guadagnerebbe ovviamente in credibilità. Sfaccendati e libertari Per il resto indignazioni periodiche, interviste a poliziotti ri-determinati a setacciare web-sconcezze, appelli alla “moderazione” algoritmica più puntuale e tempestiva, cioè a svuotare il mare col bicchiere. In sostanza uno sfaccendato divagare fra l’ovvio e l’arbitrario. Per non dire dell’illusione “libertaria” ormai trentennale per cui il bello della Rete starebbe proprio nel dire senza metterci la faccia. Come se fosse una conquista di libertà rispondere al telefono senza poter premettere il canonico «chi parla?». È vero che l’orrore editoriale non impedisce, forse favorisce, i ricavi delle Big Tech, cresciuti in venti anni con andamento esponenziale. Ma le Big Tech non siamo noi e non abbiamo convenienza a reggergli lo strascico, ora che la realtà del mondo ci costringe a ragionare. La lotta contro i siti sessisti: la cultura non si cambia solo rafforzando le norme