Se l’offerta del fondo Kkr per il controllo di Tim avesse successo, la naturale conseguenza sarebbe lo scorporo dell’intera rete fissa (non solo l’ultimo miglio confluito in FiberCop e di cui Kkr è già socio) e la fusione con OpenFiber.

Si creerebbe la società unica della rete con Cassa depositi e prestiti (Cdp) azionista di riferimento, assieme a fondi e altri privati: la stessa struttura proprietaria mista della rete elettrica (Terna), del gas (Snam e Italgas), autostradale (Aspi) e trasmissione tv (RaiWay e Ei Towers del fondo F2i, in ambito Cdp).

Si realizzerebbe così il famoso “Piano Rovati” presentato 15 anni fa alla Telecom Italia a guida Pirelli, ma che da allora è sempre stato visto con favore da molte forze politiche.

Se consideriamo anche il controllo pubblico della rete ferroviaria e tutte le altre società a partecipazione pubblica, si consoliderebbe una presenza dello Stato nell’economia che non ha uguali nel mondo occidentale.

Se vince Kkr

E’ probabile che l’offerta di Kkr, con scorporo della rete, abbia successo. Incontrerebbe il favore della politica, e la creazione di una società unica della rete sarebbe anche nell’interesse di Cdp che ha il problema di OpenFiber, che da sola non genera i ricavi necessari a sostenere il debito contratto per gli investimenti pianificati.

La fusione della rete di Tim con OpenFiber acquisirebbe una posizione dominante e sarebbe soggetta a regolamentazione, potendo quindi contare su un flusso di cassa certo che le permetterebbe di sostenere un elevato di debito.

Conferendo la rete nella società unica, Kkr potrebbe pertanto deconsolidare una larga fetta del debito di Tim; l’esperienza insegna poi che lo Stato regolatore è sempre generoso con lo Stato azionista. Se aggiungiamo poi che la nuova società della rete unica riceverà le risorse pubbliche per la posa della fibra e probabilmente altre dal Pnrr per la digitalizzazione, si capisce meglio l’interesse di fondi come Kkr e Macquire (già socio di OpenFiber) a investire nelle società miste pubblico-privato in Italia.

Scissa la rete e deconsolidato il debito, Kkr potrebbe passare all’incasso vendendo le attività di Tim in Brasile, la quota in Inwit, per poi cedere le rimanenti attività nella telefonia, magari dopo avere ricostituito la leva, o fonderla con un concorrente nell’inevitabile processo di concentrazione: ci sono tre società telefoniche in ogni paese europeo, quanto ce ne sono tre in tutti gli Stati Uniti. Kkr realizzerebbe un grande profitto, e sarebbe la morte di Tim.

Il problema dei costi

L’offerta di Kkr e la rete unica convengono anche ai sindacati. Tim ha un problema di costi eccessivi, con ricavi per dipendente inferiori di 110.000 euro alla media del settore europeo: con la scissione, oltre al debito eccessivo, anche molti dipendenti potrebbero essere trasferiti alla nuova società della rete.

Conviene all’azionista Vincent Bollorè che riuscirebbe a uscire dal cul de sac Tim limitando le perdite e, dopo Mediaset, mettere fine alla sua disastrosa campagna di Italia. E conviene a Vodafone e Wind-Tre che non devono fare investimenti nella rete o competere con Tim perché si limiteranno a distribuire l’accesso alla stessa rete pagando gli stessi costi.

Ci perde però il consumatore, che pagherà i maggiori cash flow che la rete unica dovrà generare per sostenere debiti, investimenti e dividendi agli azionisti.

Quella di Tim è la cronaca di una morte annunciata. La telefonia è da anni in crisi perché copre il segmento a minor valor aggiunto delle comunicazioni, operando in un contesto altamente concorrenziale. Così i margini si erodono, mentre aumentano gli investimenti necessari nella rete e nel 5G, oltre a quanto pagato per le frequenze.

Negli ultimi 5 anni i ricavi totali di Tim sono scesi del 3,4 per cento medio annuo, -6,4 quelli del mobile in Italia, -8,4 il risultato operativo. Meno cassa e la necessità di investire hanno impedito di riportare il debito eccessivo in linea con il settore.

Il tentativo di espandersi nei media con Tim Vision e Dazn non ha funzionato, come per le analoghe esperienze di At&t, Bt, e Telefonica.

La cessione di quote in Inwit e FiberCop è risultato un mero palliativo perché ha ridotto il debito, ma anche il margine operativo. Così, prima dell’offerta di Kkr, in 5 anni il titolo Tim aveva perso il 64 per cento rispetto all’indice delle borse europee, il doppio del settore.

L’unica via d’uscita per Tim, fondersi con OpenFiber rimanendone in controllo o in posizione rilevante, si è chiusa per la volontà del governo e le ragioni dell’Antitrust: a una società unica della rete pubblica-privata con Tim, ne preferiscono una identica con Kkr e Macquire.

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